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In una settimana, il Presidente Mattarella ha espresso tre dichiarazioni solo apparentemente distanti tra loro.Il 16 febbraio ha rotto gli indugi della politica italiana sulle reazioni alla morte di Aleksej Navalnyj, per ribadire con parole tutt’altro che di circostanza da che parte sia il giusto. Una dichiarazione molto più partecipata e netta rispetto a quella più formale del Presidente Meloni. Il 23 febbraio, ha colto l’occasione di un incontro con un gruppo di studenti per biasimare la «intollerabile serie di manifestazioni di violenza: insulti, volgarità di linguaggio, interventi privi di contenuto ma colmi di aggressività verbale» che connotano il confronto politico. Nel dirlo, ha anche espresso «piena solidarietà» al Presidente del Consiglio, oggetto di effigi bruciate. Ma il messaggio più generale era rivolto anche allo scontro tra la stessa Meloni e il Presidente della regione Campania Vincenzo De Luca.
Il giorno dopo, il 24 febbraio, in seguito ai fatti di Pisa e Firenze, Mattarella ha lapidariamente espresso che i manganelli sono segno di fallimento, se usati contro i ragazzi. Chiaramente, le parole utilizzate da un Presidente della Repubblica sono pesate in ogni singola virgola e lettera. Dire, ad esempio, «di aver fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione», non è lo stesso che dire «ha condiviso con il ministro dell’Interno». Anche la forma conta: due delle dichiarazioni sono state rese con comunicato, una modalità che indica una meditata intenzione di voler intervenire a proposito di un determinato fatto, per un preciso motivo.
Quello di esternazione è un potere presidenziale che si è affermato per forza di cose: da garanti ultimi del senso delle istituzioni repubblicane, i Presidenti della Repubblica ne hanno fatto un uso via via dilatato anche in funzione delle manifestazioni di debolezza e immaturità dell’agone politico. Ad esso si è fatto un ricorso sempre più frequente, importante e informale per interpretare il sentimento degli italiani (v. Navalnyj), o per ripristinare il corretto svolgimento dei rapporti politico-istituzionali (v. lo scontro tra Meloni e De Luca), o per ammonire alle corrette dinamiche democratiche (v. i fatti di Pisa). Per quanto diverse, quindi, nel contenuto e nell’obiettivo, le ultime tre esternazioni di Mattarella possono condurre a una riflessione legata alla funzione del ruolo del Capo dello Stato. La loro risolutezza, tempestività e opportunità suggeriscono che il ruolo del Presidente della Repubblica va preservato proprio nella sua capacità di memoria e rappresentazione dei valori democratici.
In particolare, il comunicato sui manganelli è stato quanto mai salutare. Non è una novità che si confondano le cattive ragioni per manifestare con la possibilità di reprimere le manifestazioni. Con altri governi, si sono usate maniere forti contro i cortei dei no vax. Ciò non toglie, anzi conferma, che la polizia per prima e chi la governa debbano distinguere il diritto di manifestare anche le idee più opinabili e il dovere di garantire la sicurezza. Ma Mattarella non ha sottolineato solo questo ovvio punto. Ha anche richiamato implicitamente, parlando di fallimento dell’uso della violenza verso i ragazzi, che il diritto di manifestare si collega al dovere di educare. Le buone idee nascono da una buona educazione. Se circolano idee insulse, dovremmo pensare meno ai manganelli e più a cosa stiamo insegnando. Questa capacità di espressione politica del Presidente si è espansa in misura inversa rispetto alle lacerazioni e all’immaturità del sistema politico. Un sistema politico maturo non avrebbe bisogno di essere così frequentemente richiamato all’ordine o, peggio ancora, sostituito nelle sue carenze di fronte all’opinione pubblica. In tempi di riforma costituzionale, anche il potere di esternazione è utile a capire quale possa essere il modo più consono per assicurare la corretta interpretazione dello spirito liberale e democratico che dovremmo pretendere, come cittadini e ancor prima come persone. Uno spirito che somma la responsabilità di governo alla adesione a valori costituzionali non negoziabili nemmeno per mandato elettorale.