di Antonio Pinelli
Alessandro Bagnoli, classe 1952, laureatosi con Giuliano Briganti e Fiorella Sricchia, funzionario di lungo corso della Soprintendenza di Siena e Grosseto, nonché per decenni segretario di redazione e dal 2016 direttore diProspettiva, la rivista fondata da Giovanni Previtali e Mauro Cristofani, rappresenta al meglio la fusione tra attività di tutela e scuola storico- artistica dell’università senese. Fu lui, nel 2005, a creare e ordinare nel convento di San Pietro all’Orto, nel terziere di Città Nuova, il Museo d’arte sacra di Massa Marittima ( con il supporto, per le sale dedicate alla scultura, di Roberto Bartalini). E prima ancora, fu lui a farci conoscere quel singolare affresco con un gruppo di donne ai piedi di un albero i cui frutti hanno la forma di membri maschili, rivelato da un restauro della Loggia dell’Abbondanza, il terminale dell’acquedotto cittadino fatto costruire nel 1265 dal podestà Ildebrando da Pisa. Cronologia e interpretazione dell’affresco sono tuttora controverse, ma una data prossima a quella di costruzione della Loggia si fa preferire per la presenza nell’immagine di svolazzanti aquile imperiali, che proclamano la fede ghibellina del committente. Quanto al significato i dubbi non mancano, anche per la scarsa leggibilità di vari dettagli dell’affresco, ma l’albero va senz’altro interpretato come un’allegoria della fecondità, ma anche come manifesto del Buon Governo comunale.
Nel 2018 Bagnoli curò nel Museo di San Pietro all’Orto una mostra, imperniata sulla Maestà della Vergine di Ambrogio Lorenzetti, il capolavoro, menzionato anche da Giorgio Vasari, che il maestro senese realizzò per una chiesa di Massa, forse proprio per San Pietro all’Orto che ora la ospita in una sala del Museo. L’evento traeva spunto dal ritorno a Massa della pala da Siena, dove era stata eccezionalmente in prestito per sei mesi nella memorabile rassegna di Ambrogio in Santa Maria della Scala. Dopo un intervallo di sei anni, la nuova mostra ideata e curata da Bagnoli nel museo di Massa (fino al 15 settembre) non segue le orme del calendario espositivo di Siena, potendo vantarsi di essere addirittura la prima monografica mai consacrata a Stefano di Giovanni, meglio noto come il Sassetta, raffinato protagonista della pittura senesedella prima metà del Quattrocento. Il soprannome, identico al toponimo di un noto borgo della Val di Cornia, con cui però l’artista non sembra aver avuto a che fare, compare per la prima volta nel Settecento ed è forse frutto di un errore di lettura. Sta di fatto che lui stesso si firma sempre “ Stefano di Giovanni”, come del resto era noto ai suoi contemporanei.
Su di lui, che era nato a Cortona intorno al 1400 da un padre che faceva il cuoco e morì a Siena nel 1450, hanno versato fiumi d’inchiostro nel secolo scorso storici dell’arte del calibro di Berenson, Longhi, Pope- Hennessy ed Enzo Carli, affascinati dalla sua peculiare singolare cifra stilistica, che coniuga tradizione e innovazione, guardando alle novità fiorentine, ma filtrate attraverso un gusto sofisticato e nostalgicamente rétro, che distilla preziosismi cromatici, lumeggiature e calligrafismi gotici, rubati ai prediletti Simone Martini e ai due Lorenzetti.
Adattando al delicato palato dei senesi perfino il robusto realismo di Masaccio, questa formula accattivante gli garantì un successo immediato, come dimostra esemplarmente una Madonna dell’Umiltà giovanile del Museo dell’Opera del duomo di Siena, che apre opportunamente l’esposizione, esibendo, in braccio a un esile ed elegante Vergine dal collo di cigno, un erculeo Bambino, debitore di quello masaccesco della Sant’Anna Metterza, che Sassetta sottopone a una dieta severa come il coach di un pugile che deve rientrare nei limiti di peso della categoria.
Come nella mostra sulla Maestàdi Ambrogio, Bagnoli trova spunti in opere conservate nel museo, come la cuspide con un Arcangelo Gabriele di cui esiste la corrispondente cuspide con la Vergine annunciata, che però manca all’appello perché custodita negli Stati Uniti, alla Yale University Art Gallery.
Benché a sostegno della mostra si siano coalizzati il Comune e la Diocesi di Massa- Piombino, l’archidiocesi e il Dipartimento Beni Culturali dell’Università senese, nonché la Soprintendenza e vari enti locali, si è saggiamente preferito limitare i prestiti di opere a quelli autarchicamente disponibili. Per esempio, della smembrata pala commissionata nel ’ 23 a Sassetta dall’Arte della Lana, opera chiave per la ricostruzione della sua carriera, si è fatto affidamento sui ben dodici frammenti dati in prestito dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, tra cui il delizioso Sant’Antonio bastonato dai diavoli, e rinunciato ai costosi prestiti di altri pezzi superstiti, sparsi ai quattro angoli del mondo. In compenso non manca una nuova e più convincente ricostruzione del polittico.
Frutto di decenni di ricognizione territoriale, l’esposizione inaugura un promettente filone di mostre all’insegna della “ sostenibilità”, in linea con l’ascetismo taumaturgico del patrono di Massa. Tra dipinti, miniature, sculture e perfino una vetrata sono una cinquantina le opere esposte, di cui ventisei di Sassetta e le altre di artisti che ne hanno incrociato il percorso, come Sano di Pietro, il Maestro dell’Osservanza, Giovanni di Paolo, Pietro Giovanni Ambrosi e Domenico di Niccolò di Cori. Non poche provengono da chiesette sperdute o raccolte inaccessibili, ma tra le sorprese maggiori c’è un’inedita Madonna in umiltà con Bambino, scovata da Bagnoli in una pieve di Molli (Sovicille) e che il suo occhio allenato poteva riconoscere come un originale di Sassetta, sotto le ridipinture tardobarocche che lo camuffavano. Affidata al magistrale restauro di Barbara Schleicher, la tavola si è così appalesata come un delizioso capolavoro del maestro, parente stretto di una Madonna con Bambino del Museo dell’Opera di Siena e della Madonna con le ciliegie del Museo di Grosseto. Ma anche tra i seguaci e compagni di strada di Sassetta, non mancano in mostra novità succose, quali la ridefinizione della fisionomia di un artista finora noto come il “ Maestro di sant’Ansano”, cui Bagnoli restituisce il nome di Nastagio di Guasparre, e quella del Maestro di Monticiano, di cui è esposta per la prima volta laFlagellazione, dipinta nel 1441 sulla copertina di un volume dell’Ufficio della Gabella del Comune di Siena. Portata in Germania nell’Ottocento dal pittore Franz von Lenbach, è tornata a Siena due anni fa grazie all’acquisto dello Stato, che l’ha assegnata al Museo delle Biccherne di Siena. Si rimane affascinati dall’elegante balletto di movenze dei due sgherri che fustigano Cristo, ma ancor più dalla spericolata rappresentazione della scatola spaziale, scandita in basso da un ripido pavimento a scacchi bianchi rossi e neri, che riecheggia i colori degli stemmi dei committenti.