Oggi a Firenze si riunisce il raggruppamento (“Identità e democrazia”) dei partiti della destra radicale nazionalista del Parlamento europeo. Le cose, per loro, sembrano andare bene. La destra nazionalista è in crescita in molti stati membri dell’Unione europea (Ue), oltre che al di fuori di quest’ultima, come testimonia l’esito delle recenti elezioni argentine. Nell’Ue, dopo i costi di Brexit, il nazionalismo di destra si è progressivamente trasformato in sovranismo, cioè in un movimento politico che ha il fine di svuotare l’Ue dall’interno, anche se minaccia di sfidarla dall’esterno. Secondo un sondaggio riportato da Euractiv, i partiti politici della destra nazionalista passerebbero dai 60 seggi attuali a 87 seggi con le elezioni del giugno 2024. Nelle elezioni parlamentari olandesi del 22 novembre scorso, il partito della estrema destra nazionalista (il Pvv o Partito della libertà), guidato da Gert Wilders, ha ottenuto il voto di quasi un quarto degli elettori, grazie ad una campagna elettorale condotta all’insegna della islamofobia e dell’antieuropeismo.
di Sergio Fabbrini
Oggi a Firenze si riunisce il raggruppamento (“Identità e democrazia”) dei partiti della destra radicale nazionalista del Parlamento europeo. Le cose, per loro, sembrano andare bene. La destra nazionalista è in crescita in molti stati membri dell’Unione europea (Ue), oltre che al di fuori di quest’ultima, come testimonia l’esito delle recenti elezioni argentine. Nell’Ue, dopo i costi di Brexit, il nazionalismo di destra si è progressivamente trasformato in sovranismo, cioè in un movimento politico che ha il fine di svuotare l’Ue dall’interno, anche se minaccia di sfidarla dall’esterno. Secondo un sondaggio riportato da Euractiv, i partiti politici della destra nazionalista passerebbero dai 60 seggi attuali a 87 seggi con le elezioni del giugno 2024. Nelle elezioni parlamentari olandesi del 22 novembre scorso, il partito della estrema destra nazionalista (il Pvv o Partito della libertà), guidato da Gert Wilders, ha ottenuto il voto di quasi un quarto degli elettori, grazie ad una campagna elettorale condotta all’insegna della islamofobia e dell’antieuropeismo.
Il partito della destra nazionalista tedesca (Alternative für Deutschland), che pure parla con accento neonazista, è accreditato sopra il 20 per cento se si tenessero oggi le elezioni in quel Paese. Un governo sovranista è al potere in Italia, Slovacchia e Ungheria, ha possibilità di affermarsi in Bulgaria. Come interpretare tale crescita dei partiti nazionalisti? Le cause sono molteplici, ma due meritano di essere considerate.
La prima ragione riguarda l’insicurezza. Le crisi multiple che si sono succedute dal 2008-2009, ma in particolare la crisi migratoria del 2015-2016 con i suoi sviluppi successivi, hanno creato un senso di insicurezza diffusa tra i cittadini. L’afflusso di migranti (economici o provenienti da aree di guerra o devastazione) ha continuato ad alimentare la paura sociale, oltre che culturale, tra i cittadini degli stati europei. L’immigrazione è una sfida per tutte le democrazie, basta pensare al muro costruito tra Texas e Messico dalla presidenza Trump. Tuttavia, quel muro, così come le scelte dei governi sovranisti europei di chiudere i confini nazionali, hanno potuto fare ben poco per fermare l’immigrazione. Anzi, in Italia, quest’ultima è aumentata con il governo sovranista al potere. Nondimeno, l’immigrazione, in particolare quella irregolare, continua ad alimentare il consenso verso la destra nazionalista, in quanto essa propone una formula sperimentata (anche se fallimentare) per gestirla. Chiudersi in casa serrando le porte. Nello stesso tempo, paradossalmente, sia l’economia americana che (soprattutto) quella degli stati membri dell’Ue stanno vivendo le conseguenze negative di un calo demografico di dimensioni storiche, con relativa mancanza di lavoratori in settori sia high-tech che ad alta intensità di lavoro. Solamente per il nostro Paese, come riportato da questo giornale due giorni fa, si stima una mancanza di almeno 800.000 profili professionali, necessari per alimentare il nostro apparato produttivo e dei servizi. L’immigrazione crea paura, ma di immigrati abbiamo bisogno. Il nazionalismo non può risolvere il problema, ma è efficace a denunciarlo.
Di qui, la seconda ragione (istituzionale) della crescita della destra nazionalista. I nazionalisti possono denunciare il problema perché non c’è un’alternativa sovranazionale per la sua soluzione. Eppure, si tratta di un problema (l’immigrazione) che è sistemicamente transnazionale. I singoli stati non possono affrontare da soli una sfida di questa portata, neppure possono farlo coordinandosi tra loro (dato che l’immigrazione colpisce asimmetricamente). Nonostante ciò, l’Ue non è riuscita a dotarsi di una autorità sovranazionale per gestire l’immigrazione, essendo Frontex un’agenzia intergovernativa che può intervenire solamente se richiesta dall’uno o dall’altro stato membro. Sono molti i fattori che hanno ostacolato lo sviluppo di una politica migratoria sovranazionale. Tra di essi, c’è anche il fatto che le principali decisioni, relative alla sovranità territoriale degli stati membri, debbono essere prese all’unanimità. E sono i governi sovranisti, in particolare, che pongono il veto ad ogni decisione che prefiguri una politica sovranazionale. Lo fanno non solamente in questo campo, ma anche in altre politiche pubbliche (che concernono la sovranità degli stati, come la politica militare o estera) che richiedono di essere approvate all’unanimità. Ad esempio, in questi giorni, il premier sovranista ungherese Viktor Orban sta bloccando il nuovo (ottavo) finanziamento della European Peace Facility, il cui scopo è quello di comprare armi letali da trasferire al governo ucraino. Oppure sta bloccando il dodicesimo pacchetto di sanzioni economiche contro la Russia, con il sostegno del premier slovacco Roberto Fico e di quei governi (a cominciare dalla Bulgaria e Romania) che hanno continuato a raggirare i divieti europei di comprare gas da Putin.
È la difficolta a perseguire politiche sovranazionali che alimenta la campagna nazionalista sull’Europa “che non c’è”. Se l’Europa non c’è, allora, dice quella destra, difendiamo ciò che c’è, lo stato nazionale. Senza aggiungere, però, che quest’ultimo non potrà risolvere il problema.
Pochi giorni fa, Mario Draghi ha sostenuto la necessità di costruire uno “stato europeo” per fare i conti con le sfide collettive che l’Ue ha di fronte a sé. In realtà, non è necessario diventare uno “stato” per dotarsi di una governance che abbia gli strumenti, le risorse e la legittimazione per affrontarle. C’è un’alternativa sovranazionale al nazionalismo che ci lascia a mani nude di fronte a quelle sfide.