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16 Novembre 2022Il ministro Giorgetti lo ritiene un costo eccessivo per lo Stato, ma non ha valutato il ritorno in termini di crescita del Pil, di conseguenti entrate fiscali e di benefici in termini di riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento
Adesso ci sono anche i “negazionisti del moltiplicatore”. A guadagnarsi la bizzarra etichetta sono i nemici del superbonus edilizio 110%, misura chiave della stagione del governo Conte 2 per la rianimazione dell’economia italiana, messa in ginocchio dal Covid-19 e dalle severe misure di contenimento della pandemia. L’appellativo di “negazionista” (introdotto a suo tempo per una certa corrente degli studi storici, accusata di voler cancellare le responsabilità del nazifascismo nello sterminio razzista) è usato più di recente – con una certa fastidiosa, irresponsabile leggerezza – per stigmatizzare qualsiasi opinione ritenuta deviante o allergica alla verifica dei dati di fatto. E grazie a questa leggerezza, è capitato in questo periodo di leggere anche dell’esistenza dei citati “negazionisti del moltiplicatore”: coloro i quali, appunto, negano gli effetti positivi che le politiche di incentivazione fiscale hanno per l’economia (e indirettamente per il bilancio dello Stato che, com’è noto, beneficia della crescita del Prodotto interno lordo, attraverso la crescita degli incassi del fisco).
Tra i bersagli di questa polemica, stavolta, è finito anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il più “draghiano” dei leghisti, l’uomo al quale la presidente del Consiglio, fallito il corteggiamento di alcuni “tecnici”, ha affidato il compito di rassicurare mercati e istituzioni europee sulla sostanziale continuità della politica economica del suo governo rispetto al predecessore.
Il provvedimento è stato costantemente al centro di duri scontri polemici, ma soprattutto oggetto di continue modifiche legislative, che hanno messo a rischio i benefici economici e quelli relativi al risparmio energetico e alla transizione ecologica, e suscitato gravissimo allarme nelle imprese del settore che hanno puntato su questa misura. Ora anche il governo Meloni, in una parentesi del suo impegno più tradizionalmente “identitario” sul tema dei migranti e delle navi Ong, lo ha messo nel mirino nel decreto “Aiuti quater”, sostanzialmente bollando il superbonus come un costo eccessivo per lo Stato. Come spesso accade, le motivazioni dichiarate degli interventi stridono un po’ rispetto al posizionamento della coalizione governativa di destra-centro in ambito politico-sociale: sta di fatto che Giorgia Meloni, nel correggere il bonus tagliandolo, fra le altre cose, dal 110 al 90% – con quali conseguenze per chi manchi della liquidità necessaria è facile immaginare –, ha lamentato il fatto che “(…) il beneficio è andato prevalentemente a favore dei redditi medio-alti”.
Lo stesso Giorgetti, sfoderando un inedito spirito da socialista lombardiano che ci piacerebbe vedere in futuro, per esempio, sulla progressività della tassazione, ha spiegato che il provvedimento andava cambiato perché non “equo”. Opinione non condivisa dai vertici dell’Associazione degli imprenditori edili (Ance): “Siamo consapevoli della necessità del governo di tenere sotto controllo la spesa – ha obiettato la presidente Ance, Federica Brancaccio –, ma cambiare le regole del superbonus in quindici giorni significa penalizzare soprattutto i condomini che sono partiti per ultimi. Quelli cioè delle periferie e delle fasce meno abbienti, che per far partire i lavori hanno avuto bisogno di tempi più lunghi e della necessità di vedere interamente coperti finanziariamente gli interventi”. L’equità per ora non si intravede, a quanto pare.
Molto interessante, però, è la parte delle dichiarazioni di Giorgetti dedicata a delimitare i confini dell’intervento: “Voglio ribadire – ha spiegato il ministro – che è passato nell’immaginario collettivo l’idea che il credito d’imposta sia sostanzialmente moneta. Questo non è, quindi chiunque si avvia a fare un investimento dovrà valutare se l’impresa costruttrice o la banca siano disponibili a riconoscere il credito d’imposta. Il sistema non può continuare così, non è sostenibile e noi vogliamo totalmente garantire la sostenibilità e la finanza pubblica”.
“Terzogiornale” si era occupato già in passato di questo tema (per esempio qui e qui), e proprio l’effetto “moneta fiscale”, causato dalla cedibilità dei crediti (che ha favorito anche qualche frode, ma, secondo l’Agenzia delle entrate, in misura minore rispetto ad altri provvedimenti del passato) era emerso tra le probabili cause dell’ostilità al superbonus 110,da parte dei vecchi custodi dell’austerity europea. Ora, grazie alle parole di Giorgetti, indimenticato relatore in parlamento della “riforma” del pareggio di bilancio in Costituzione, il tema è venuto alla luce forse con maggiore trasparenza.
Per tornare al tema iniziale: ha senso parlare di un “costo” per lo Stato, senza valutare il ritorno in termini di crescita del Pil, di conseguenti entrate fiscali, di influenza positiva sul rapporto deficit-Pil e debito-Pil, dettato dalle norme europee, e di benefici in termini di riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento? O è meritata, appunto, l’accusa di “negazionismo” rispetto al “moltiplicatore” degli investimenti? Un punto di vista suffragato da qualche dato è stato esposto in una ricerca di Nomisma (commissionata, va detto, dall’Ance emiliana, dunque dalle imprese del settore). Nel riassunto che Edilportale ha dedicato al convegno nel quale sono stati presentati i risultati, si legge che – per la società fondata a suo tempo da Romano Prodi – a fronte di un costo inferiore ai quaranta miliardi, “il Superbonus ha generato un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari al 7,5% del Prodotto interno lordo (Pil) del Paese”, e che “per ogni beneficiario, l’investimento genererà un risparmio annuo medio in bolletta di cinquecento euro”. La ricerca documenta che il superbonus pesa per “quasi il 50% dell’incremento di potenza rinnovabile (fotovoltaico/pannelli solari) installata sul parco immobiliare italiano in termini di numero di interventi: grazie a tale strategia, sono stati immessi in consumo 106 milioni di kW annui di energie rinnovabili, con una previsione di inserimento di ulteriori 37 milioni per i cantieri ancora in attivazione”.
Ma ci sono altre considerazioni: dato che la norma incide esclusivamente sul patrimonio immobiliare esistente, produce “effetti positivi sul contenimento di consumo di suolo e minori investimenti sulla realizzazione di servizi e infrastrutture collegate: il risultato di questi vantaggi è quantificabile in 15,3 miliardi di euro complessivi”. Infine, l’impatto sociale: “38,7 miliardi di euro già investiti hanno comportato un aumento di occupazione nel settore delle costruzioni per un totale di 634mila occupati. Per quanto riguarda le famiglie, nonostante alcune evidenze mostrino che la misura abbia favorito in media i ceti medio-alti, 483mila famiglie con reddito medio-basso (sotto i 1.800 euro) hanno avuto l’occasione di effettuare lavori di riqualificazione energetica profonda alla propria abitazione a costo zero”.
Ieri le “frodi”, oggi la mancanza di “equità”: gli avversari del superbonus non mancano di nobili argomenti per legittimare critiche e modifiche. Detto che indubbiamente qualsiasi provvedimento di questa portata richiede sempre quello che in gergo automobilistico è definito “un tagliando”, sarebbe bene non perdere di vista il fatto che nel campo delle politiche economiche, fiscali, industriali e ambientali, si scontrano sempre anche visioni della società radicalmente diverse. “Negazionismo” o meno, il superbonus, a quanto pare, non fa eccezione.