di PAOLO LAZZARI
Non è affatto nero, come tutti sono stati abituati a vederlo nel corso dei secoli. Sotto a quello strato pastoso — una miscela scura di carbone, olio di lino e cera d’api — giace un trionfo di colori. Il Volto Santo di Lucca, opera di alta devozione paragonabile ad una reliquia, nonché tappa fissa del cammino giubilare, oggi si mostra diverso. L’incarnato è chiaro e gli occhi aperti e luminosi — simbolo di un Cristo trionfante sulla morte — svelano pupille blu, con sclere bianche. La veste è di colore blu scuro, composta da pigmenti preziosi, come i lapislazzuli, con rifiniture e bordature a foglia d’oro. La sorpresa, per i fedeli, è dunque servita. Dovranno adesso confrontarsi con una scultura che recupera i suoi colori, emersi già dalle prime fasi della campagna diagnostica. « È intorno alla metà del 1600 che un manto scuro ha velato tutto: il volto, persino gli occhi, il corpo e la croce. Le spiegazioni plausibili potrebbero essere numerose » , osserva Ilaria Boncompagni, Funzionaria alla tutela storico artistica della Soprintendenza archeologica per le Belle Arti e il Paesaggio delle province di Lucca e Massa Carrara. «Sicuramente questa pellicola ha preservato l’opera in tutti questi secoli. Questa è una prima ipotesi che si collega alla copertura. Un altro aspetto da valutare è quello legato alla diffusione della peste in città: il tono potrebbe legarsi ad una volontà di rispetto e rigore, alla possibile esigenza di manifestare un’atmosfera lugubre, funerea. Noi però sappiamo bene che queste sculture, specie nel Medioevo, dovevano sempre essere sgargianti, per intercettare l’attenzione dei fedeli, in ambienti spesso assai oscuri».
Alcuni segnali — piccole cadute di colore dai piedi e dalla veste del Cristo — hanno avviato lagrande macchina del restauro. Così è stata allestita un’equipe multidisciplinare, che ha iniziato a lavorare nel dicembre del 2022. L’ambizioso progetto è stato sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e dall’Opera del Duomo di Lucca, con la direzione scientifica dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, d’intesa con la Soprintendenza, guidata da Angela Acordon. Si tratta di un lavoro complesso, realizzato anche con ilconcorso interdisciplinare degli istituti di ricerca di Bioeconomia del Cnr, l’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’Istituto di fisica applicata “ Nello Carrara” del Cnr di Firenze e l’Università di Pisa, che hanno eseguito la prima campagna diagnostica. Da allora, il Cristo si trova disteso nel laboratorio allestito nel transetto nord della cattedrale. Ora l’obiettivo è restituirlo per la prossima celebrazione della santa Croce, a settembre. Intanto anche il tempietto che lo ospita è oggetto di restauro, ma in questo caso servirà più tempo. Il fatto che nessuno, per secoli, sia intervenuto per concretizzare un’operazione come questa è intimamente intrecciato all’aura di sacralità e rispetto che l’opera incuteva. « Anche la croce — prosegue Boncompagni — è interamente colorata. Si tratta di un’esplosione cromatica che certo non lascia indifferenti. Il Volto adesso appare vivo, maestoso, un Cristo Triumphans, messaggero di vita e rinascita. Un’operazione complessa e delicata, che racchiude significati storici, scientifici e religiosi. Così ricostruiamo e restituiamo un’opera che racconta secoli di vita » . I lavori, intanto, procedono senza sosta. È da poco terminato il risanamento delle parti lignee danneggiate o fragili, sia della croce che del Cristo, con una metodologia che ha consentito, tramite l’inserimento di piccoli tasselli lignei, di restituire continuità materica al manufatto garantendo, con un intervento minimo, una maggior omogeneità e tenuta anche alle sollecitazioni del legno. In funzione della prossima ricollocazione del Cristo sulla croce è poi in corso di realizzazione un sistema di sostegno progettato per rendere più stabile l’unione tra le due strutture, in rinforzo dei perni originali, che saranno mantenuti nella loro integrità. Avanzano inoltre la rimozione degli ultimi residui dello strato superficiale scuro che ricopriva interamente la scultura, riportando alla luce la cromia che l’ha caratterizzata nei secoli passati, e la messa a punto della metodologia per l’integrazione pittorica delle piccole lacune di colore.