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22 Ottobre 2023La valutazione è unanime: «la Polonia è ritornata in Europa». L’esito delle elezioni legislative polacche di domenica scorsa ha registrato la vittoria dei partiti di opposizione (Piattaforma civica, Terza via e Sinistra che, insieme, h anno ottenuto il 54%dei voti).
Il partito principae di governo, Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwo?? o PiS), di destra radicale e radicalmente antieuropeista, pur risultando il partito più votato (36,1%), non ha i seggi sufficienti per rimanere al potere. Dopo otto anni (il PiS è al governo dal 2015), la Polonia non è più antieuropeista. Ma è diventata anche europeista? Ne dubito per almeno due ragioni.
In primo lugo, le elezioni hanno riguardato la politica interna, non europea, come ha fatto notare Anne Applebaum (giornalista americana che vive in Polonia). La vittoria delle forze dell’opposizione ha rappresentato la reazione popolare alla politica del PiS di costruire un regime “illiberale” perché privo dei controlli sul potere politico.
di Sergio Fabbrini
La valutazione è unanime: «la Polonia è ritornata in Europa». L’esito delle elezioni legislative polacche di domenica scorsa ha registrato la vittoria dei partiti di opposizione (Piattaforma civica, Terza via e Sinistra che, insieme, h anno ottenuto il 54%dei voti).
Il partito principae di governo, Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwo?? o PiS), di destra radicale e radicalmente antieuropeista, pur risultando il partito più votato (36,1%), non ha i seggi sufficienti per rimanere al potere. Dopo otto anni (il PiS è al governo dal 2015), la Polonia non è più antieuropeista. Ma è diventata anche europeista? Ne dubito per almeno due ragioni.
In primo lugo, le elezioni hanno riguardato la politica interna, non europea, come ha fatto notare Anne Applebaum (giornalista americana che vive in Polonia). La vittoria delle forze dell’opposizione ha rappresentato la reazione popolare alla politica del PiS di costruire un regime “illiberale” perché privo dei controlli sul potere politico.
Il Pis non è un partito di destra tradizionale, ma è un partito che ha perseguito una missione storica, consistente nella costruzione di uno stato etico, a forte venatura cattolica, impegnato a contrastare l’influenza sulla società nazionale dei “disvalori” della modernità occidentale. Basta pensare alla draconiana legge sull’aborto introdotta nel gennaio 2021. L’interruzione di gravidanza è autorizzata solamente quando quest’ultima è il risultato di un atto criminale o quando la vita della donna è in pericolo di morte. La volontà della donna non conta. Per realizzare la sua missione storica, il PiS ha neutralizzato tutti i poteri che potevano contrastarne l’azione, istituendo, ad esempio, una Sezione disciplinare per controllare i giudici della Corte suprema, un Consiglio nazionale dei media per controllare i giornalisti, una Commissione parlamentare per controllare le scelte della Banca centrale. Appena tre giorni fa, il presidente della repubblica Andrzej Duda (esponente del PiS) ha addirittura nominato ben 80 nuovi giudici, sostenitori del suo partito, nonostante il risultato delle elezioni di qualche giorno prima. Non sarà facile per il nuovo governo realizzare ciò che negli anni Novanta del secolo scorso venne chiamata la “decomunistizzazione” (o, nell’Italia postbellica, la “defascistizzazione”). Certamente, Donald Tusk, il probabile futuro capo di governo, si è impegnato ad epurare lo Stato dai missionari. Tuttavia, le divisioni interne alla nuova coalizione del governo, insieme alle prerogative costituzionali del presidente della Repubblica, ostacoleranno non poco la sua azione. Infatti, Andrzej Duda (in carica fino al 2025) potrà porre il veto a qualsiasi legge della nuova maggioranza, veto neutralizzabile solamente da una maggioranza qualificata dei 3/5 dei parlamentari di entrambe le Camere (impossibile da raggiungere). In Polonia, la politica domestica continuerà ad essere prioritaria rispetto a quella europea.
In secondo luogo, la Polonia continua ad essere un Paese nazionalista. Il suo rapporto con l’Ue è strumentale e non già identitario. La politica europea è entrata nelle elezioni polacche dalla porticina dei finanziamenti di Next Generation Eu (35,4 miliardi che, insieme ai fondi strutturali, rappresentano il 2,6% del Pil nazionale), che la Commissione europea ha finora bloccato per via delle politiche giudiziarie del PiS. Come ha scritto Jan Cienski su Politico, la preoccupazione di perdere quei fondi ha influenzato la scelta di molti elettori conservatori. Ciò che non sono riuscite a fare le risoluzioni del Parlamento europeo o le decisioni della Commissione europea (che avevano denunciato il PiS di fronte alla Corte di giustizia europea), è riuscito a farlo la paura di perdere i fondi. Tant’è che Donald Tusk aveva continuamente sollevato il problema durante la campagna elettorale, dicendo che «il giorno dopo le elezioni sbloccherò i soldi» abolendo subito la Sezione disciplinare dei giudici. Certamente, una parte della società polacca, costituita di ceti urbani e classi medie colte, si sente europea. Ma questa componente è minoritaria nel Paese. Il nazionalismo ha radici profonde nella storia del Paese, è fonte di una identità esclusiva. Il PiS ha perseguito un’interpretazione radicale di tale nazionalismo ma c’è anche una versione liberale (rappresentata dalle forze che hanno vinto le elezioni) che, anch’essa, non si concilia con il progetto integrativo dell’unione “sempre più stretta” prevista dai Trattati dell’Ue. Si pensi alla vicenda inglese, per capirlo. Dopo quasi vent’anni (1979-1997) di governi conservatori antieuropei (in particolare durante la premiership di Margareth Thatcher, 1979-1990), un leader non-antieuropeo, come il laburista Tony Blair, vinse le elezioni del 1997. Anche allora, i giornali titolarono «Il Regno Unito è ritornato in Europa». Certamente, Tony Blair fu un leader costruttivo, così come Gordon Brown dopo di lui. Tuttavia, entrambi non hanno mai superato le “linee rosse” del nazionalismo britannico. Tant’è che, vent’anni dopo, il ruggito di quest’ultimo si è fatto sentire con il referendum che ha condotto a Brexit. La storia non si fa mettere sotto il tappeto, in Polonia oggi come in Inghilterra allora. E in quella storia c’è lo stato nazionale e non l’Ue.
Insomma, le elezioni polacche del 15 ottobre scorso hanno finalmente fermato un governo antieuropeista, ma non necessariamente hanno fatto emergere un Paese europeista. Teniamo i piedi freddi. L’Europa non si integra con i wishful thinkings (o pii desideri).