«Se voi italiani venite a Budapest per vedere cosa vi aspetta, posso dirvi che è tragico. Non so come si svilupperanno le cose con Giorgia Meloni, ma dovete fare molta attenzione: è con piccoli passi, uno dopo l’altro, che Viktor Orbán ha smantellato la democrazia». Katalin Törley si esprime in francese, lingua che ha insegnato per un quarto di secolo, prima di finire silurata sotto il regime orbaniano. Dopo aver lasciato gli insegnanti con paghe da fame e dopo aver irreggimentato il sistema educativo, il governo ha anche vanificato il diritto di sciopero. Gli insegnanti hanno protestato lo stesso, e ai più esposti, come Törley, è stata imposta una punizione esemplare: il licenziamento.

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(La professoressa Katalin Törley durante una protesta. Foto di B. Molnar)

«Ma è stata benzina sul fuoco: la protesta non ha fatto che crescere», racconta la professoressa in un caffè a due passi da Kálvin tér. «Mentre venivo qui, e ogni volta che cammino per strada, la gente mi ferma, mi abbraccia, mi saluta; non esiste giorno che non mi arrivi solidarietà». Venerdì scorso, mentre una lunga catena umana di insegnanti, studenti e genitori si disponeva lungo le sponde del Danubio, urlando che «senza educazione non c’è futuro!», le navi e le auto in corsa clacsonavano per esprimere sostegno.

«Da un giorno all’altro mi sono trovata senza stipendio ma rifarei tutto», dice Törley. Andrà a processo per riprendersi il posto di lavoro.

Quando professori, studenti e genitori si sono disposti lungo le rive del Danubio per protestare per paghe degne e per il diritto di scioperare, venerdì 18 novembre mattina a Budapest, le auto in corsa e le navi nel fiume hanno espresso solidarietà clacsonando, lanciando segnali sonori, sbracciandosi dai finestrini. Il video è di Francesca De Benedetti

LA SCUOLA E IL REGIME

Le sorti della scuola in Ungheria seguono la stessa traiettoria di Orbán: dal 2010 è maturata la svolta illiberale. Inizialmente, Tibor Navracsics, l’attuale ministro deputato ai fondi Ue, ha concepito un grande contenitore – il ministero delle Risorse umane – che raccoglieva scuola, sanità e servizi sociali. Dopo le elezioni di aprile 2022, nelle quali Orbán ha stravinto, c’è stata un’ulteriore involuzione: l’istruzione è finita sotto il dicastero degli Interni, nelle mani di Sándor Pintér, che ha gestito quel ministero in tutti i governi orbaniani e che è l’esecutore silenzioso del suo regime. Porta la sua firma il decreto recente che impone alle donne che vogliano abortire di ascoltare prima il battito del cuore del feto.

IL CROLLO

«Ho fondato il movimento Tanítanék – che significa “vorrei insegnare” – nel 2016, quando la nuova legge sull’educazione nazionale ha imposto un sistema estremamente centralizzato, che eliminava ogni autonomia di scuole e insegnanti», racconta Katalin Törley. Attualmente in Ungheria la scuola si regge su «un sistema piramidale: istituti e professori rispondono a meno di sessanta “accademie scolastiche” a loro volta strettamente controllate dal governo».

(Studenti assieme all'orso-simbolo delle proteste, venerd\\u00EC 18 novembre a Budapest, durante la catena umana. Foto di Francesca De Benedetti)
(Studenti assieme all’orso-simbolo delle proteste, venerdì 18 novembre a Budapest, durante la catena umana. Foto di Francesca De Benedetti)

Di pari passo con la presa politica delle scuole, che sono state private di ogni autonomia anche finanziaria, è andato avanti il loro impoverimento. «Nel mio liceo i banchi sono gli stessi di quando qui studiava il mio papà», racconta Hanna Stern, 18 anni. E anche gli stipendi sono rimasti gli stessi, a dispetto del costo della vita in rialzo. Un insegnante agli esordi guadagna circa 500 euro, bisogna lavorare molti anni per superare questo minimo, e anche chi ha più di vent’anni di carriera arriva appena a 700-800.

LA REPRESSIONE

«Negli ultimi anni il salario si è talmente svalutato che c’è chi lascia il mestiere. Non si trovano professori. All’inizio del 2022, visto che le richieste sindacali non avevano sortito effetto, sono cominciate le proteste. Così a febbraio il governo ha adottato un decreto col quale ha di fatto mutilato il diritto di protesta», spiega Törley.

Formalmente, non si poteva stralciare il diritto di sciopero, così Orbán lo ha svuotato nella sostanza. «Quella legge sullo sciopero è spazzatura», dice Bea Berta, che insegna in uno dei licei più attivi nelle proteste, il Karinthy Frigyes Gimnázium. «Se voglio scioperare, sono comunque obbligata a tenere almeno la metà delle lezioni, o persino tutte se riguardano i maturandi, e perdipiù mi trattengono i soldi».

SILURATI

«Invano, abbiamo chiesto la restituzione del diritto di sciopero, l’aumento degli stipendi e una riforma del sistema. Dopo le elezioni di aprile, abbiamo anche dato tempo al governo di insediarsi. Ma quando è diventato evidente che continuava a non ascoltarci, a settembre il mio movimento ha rilanciato la disobbedienza civile», racconta la professoressa Törley, leader di Tanítanék.

(Giovani studentesse alla protesta di venerd\\u00EC 18 novembre a Budapest. Foto FDB)
(Giovani studentesse alla protesta di venerdì 18 novembre a Budapest. Foto FDB)

Il 5 settembre nella sua scuola i professori hanno scioperato davvero – non lo sciopero fake previsto dal regime, ma la “disobbedienza” – e anche altri licei hanno fatto altrettanto. «Il 9 settembre gli insegnanti che avevano protestato hanno ricevuto una lettera di monito: se lo avessero fatto di nuovo, avrebbero potuto perdere il posto di lavoro. Anche se ci sono svariate “accademie”, nel paese, le lettere erano scritte tutte nello stesso modo: era chiaro l’impulso governativo». Ma Törley e i colleghi non si sono fatti intimidire. «Il 30 settembre i rappresentanti dell’accademia alla quale la mia scuola fa capo ci hanno convocati e ci hanno dato la lettera di licenziamento. Solo nel mio liceo, e solo ad alcuni professori, cinque; non so con quale criterio, probabilmente i più perseveranti. Io ero tra questi».

REAZIONE COLLETTIVA

Törley è tuttora senza lavoro. I suoi figli si sono offerti di aiutarla finanziariamente, il più giovane ha 21 anni e studia economia all’estero, la figlia di 26 fa la drammaturga, «mi hanno detto: siamo fieri di te, mamma». La solidarietà è cresciuta in tutto il paese. Il licenziamento esemplare che doveva spaventare gli altri insegnanti ha al contrario coalizzato professori, studenti, genitori.

A inizio ottobre le strade della capitale si sono gonfiate di manifestanti, una reazione di piazza così non la si vedeva da almeno quattro anni. E le proteste hanno assunto cadenza costante: venerdì mattina, per esempio, c’è stata la catena umana. «Nella mia scuola la metà degli insegnanti fa disobbedienza o “sciopero”, l’altra metà evidentemente ha paura delle conseguenze, ma io non la capisco: non mi pare ci sia nulla da perdere», dice Bea Berta, che insegna letteratura ungherese. «Guadagniamo meno di un cassiere. Io protesto e intanto mi preparo un piano alternativo: do lezioni private, faccio corsi di biblioterapia».

IL FRONTE UNITO

Lo Egységes Diákfront è il “fronte unito” degli studenti che stanno protestando, e già questa è una novità: per esprimere solidarietà ai loro insegnanti, i giovanissimi delle scuole secondarie si sono mobilitati, non solo nella capitale, che è governata dall’opposizione, ma in tutto il paese. E si stanno coalizzando. «Non penso che riusciremo a cambiare le politiche di questo governo», dice la 18enne Hanna Stern, che esibisce con orgoglio la spilla del comitato studentesco sul giubbino. «Ma è come se con queste proteste si stesse rivelando l’esistenza di una comunità». Prima che il governo seppellisse il diritto di sciopero, e che il mondo della scuola alzasse la testa, non si era mai coalizzato un fronte come questo, di giovanissimi e arrabbiati, su base nazionale.

IL REGIME E I GIOVANISSIMI

«Il partito di opposizione Momentum ci ha invitati in parlamento, ma i politici al governo ci hanno ignorati quel giorno e ci ignorano tuttora. Anche i media filogovernativi fanno come se non esistessimo, o montano scandali ad arte, come quando una studentessa, Lili, ha infilato qualche parolaccia nel suo slam poetico e hanno parlato solo delle parolacce», raccontano tre studentesse attive nelle proteste, Júlia Réka, Mora Szöllösi e Zorka Kemény.

«Noi però ci sentiamo liberate: è come se potessimo prendere finalmente il futuro nelle nostre mani!». Nessuna paura di finire nei guai? «Siamo troppi per poter punirci tutti. Il segreto è protestare in tanti, ed è questo a darci coraggio».