Di carcere si continua morire. Dopo il ragazzo di 27 anni che sabato scorso si è tolto la vita nella casa circondariale di Prato, ieri un altro giovane, di 25 anni e in attesa di giudizio, si è impiccato nella cella d’isolamento del carcere di Rieti dove era stato rinchiuso dopo che, con altri detenuti, si era rifiutato di rientrare in cella per protestare contro il sovraffollamento. Per le statistiche si tratta del 61esimo suicidio dall’inizio dell’anno, numero che però restituisce solo in parte il dramma che decine di migliaia di detenuti vivono nelle carceri italiane. «Io il conto non lo tengo più: sono comunque troppi e (quasi) ogni giorno uno di più», è il commento sconsolato del Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia. «Ogni caso è un caso a sé, ma tutti insieme – continua Anastasia – sono l’indice della crisi di un sistema che non riesce a garantire i principi costituzionali di umanità nella detenzione e di sostegno al reinserimento sociale dei condannati». Intanto oggi, dopo il voto di ieri in commissione Giustizia al quale non hanno partecipato per protesta le opposizioni, arriva in aula al Senato il decreto carceri. Il voto è previsto per giovedì, con il governo che quasi sicuramente chiederà la fiducia.

Due giorni fa il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha ricordato di aver rafforzato l’organico nelle carceri per quanto riguarda educatori, funzionari contabili e mediatori culturali, un intervento che però non incide sulle cause più gravi della crisi che riguardano il sovraffollamento, con 14.500 detenuti i più rispetto ai posti disponibili, e la mancanza di almeno 18.000 agenti di polizia penitenziaria rispetto alle necessità dell’organico. Di conseguenza le carceri si sono ormai trasformate in luoghi infernali sia per chi vi deve scontare una pena, che per chi ci lavora. E le alte temperature di queste settimane non fanno altro che rendere ancora più difficile la situazione. Ecco quindi che risse, gesti di autolesionismo, proteste, quando non scoppiano vere e proprie rivolte, sono ormai all’ordine del giorno. Nel carcere di Rieti dove ieri mattina si è registrato l’ultimo suicidio, 400 detenuti si erano autogestiti per due giorni e due notti prima di mettere fine alla protesta. E ancora ieri a Cuneo tre detenuti sono rimasti intossicati da un incendio seguito ad alcuni disordine scoppiati nella prima sezione dell’istituto.

Tra i primi a chiedere un intervento del governo ci sono i sindacati: «Il ministro Nordio dovrebbe dire cosa intende fare di concreto per fermare la pena di morte di fatto e casuale che viene costantemente inflitta nel nostro paese», ha detto ieri ad esempio il segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. Un primo passo potrebbe essere la scarcerazione dei quasi 8 mila detenuti che hanno un residuo di pena inferiore a un anno. E’ quanto previsto da una proposta di legge presentata da +Europa mentre gli avvocati di Roma in una lettera hanno chiesto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di intervenire sollecitando la politica per mettere fine a «una situazione intollerabile, indegna di un paese civile».

Intanto governo e maggioranza si preparano a licenziare il decreto carceri. La commissione Giustizia del Senato ha votato il mandato ai relatori permettendo così al testo di arrivare oggi nell’aula di palazzo Madama. Le opposizioni non hanno partecipato al voto per protesta contro l’interno provvedimento e riservandosi di ripresentare tutti gli emendamenti in fase di discussione. Non dovrebbero esserci sorprese sulla decisione da parte del governo di chiedere la fiducia nel voto finale previsto per domani. «E’ l’ennesimo provvedimento del governo su cui si riversano le tensioni interne della maggioranza sul parlamento», ha commentato la vicepresidente dei senatori dem Beatrice Lorenzin. «Questo decreto non affronta i problemi strutturali delle carceri italiane: personale, infrastrutture e sovraffollamento – ha proseguito Lorenzin -. Siamo molto lontani dal risolvere la grande questione della salute della popolazione carceraria, così come di chi in carcere non dovrebbe stare in quanto soggetto con patologie psichiatriche».