Costruire l’affettività oltre il riflesso dei muscoli
21 Novembre 2023ALLE RADICI DEL RISPETTO
21 Novembre 2023di Viola Ardone
Mi dicono che riparto sempre dalla scuola, ed è vero. La scuola, mi dicono, non può farsi carico di tutto, non può prendere il posto della famiglia, né essere la sola porta a cui bussare. Mi dicono che non è solo un problema educativo, non è solo un fatto culturale, come se invece la violenza fosse insita nel genere maschile, o per lo meno, in certi maschi. Ma quali maschi, mi chiedo allora. Se una donna viene uccisa ogni tre giorni nel nostro paese a prescindere dall’età, dalla regione, dalla condizione sociale, culturale, economica; se scopriamo (solo oggi!) che anche i bravi ragazzi sanno uccidere, io non posso rispondere altro che: ripartiamo dalla scuola. Forse perché è l’unico strumento che ho imparato, e torno a suonare sempre quello. Ma soprattutto perché è il solo denominatore comune, l’unica esperienza umana e formativa che accomuna bambini e bambine e poi ragazzi e ragazze di tutto il paese.
Il momento che li vede crescere insieme e alle stesse condizioni, o almeno così dovrebbe essere. E così, come tutti impariamo (o dovremmo imparare) il complemento oggetto, la tabellina del sette, i punti cardinali, il crollo dell’impero romano d’Occidente, allo stesso modo tutti dovremmo imparare l’uguaglianza di genere, la relazione tra sesso e desiderio, la differenza tra amore e possesso e i pericoli dei rapporti prevaricanti fin da quando iniziamo a stare in comunità, a vivere con gli altri. E questa cosa così complicata e così bella ha un nome, si chiama: “classe”. Mi dicono che i professori non possono mica fare tutto loro, che già le ore sono poche e gli stipendi bassi e i programmi rimasti fermi al secolo scorso. Dicono, anche, che l’educazione e il rispetto si imparano a casa. E dicono bene. Ma è vero anche che non tutti possono contare su una “casa” in cui i rapporti interpersonali si basano su rispetto e educazione. Ancora oggi in Italia solo il 58% delle donne italiane ha un conto corrente intestato solo a proprio nome, molte altre non hanno ancora alcuna autonomia, dipendono economicamente dal marito. Ci sono famiglie che non sono fondate su parità e rispetto, e i modelli patriarcali, in cui siamo tutte e tutti immersi sono ancora più evidenti. E allora dove altro se non a scuola si può parlare alle ragazze e ai ragazzi di libertà materiale e psicologica? I femminicidi, le violenze, gli stupri non avvengono solo nelle famigerate zone di povertà culturale. Le cronache sono piene di “bravi ragazzi” che all’improvviso diventano assassini, stupratori, aguzzini delle loro ex compagne. E dunque anche a questi bravi ragazzi la scuola dovrebbe insegnare che amore non è controllo, che la logica del possesso, la pulsione al comando, la forza come strumento di sopraffazione non sono genetici ma culturali. Che l’uomo non ha un potenziale di rabbia e violenza in più rispetto alle donne, che poi solo in taluni e in determinate situazioni viene allo scoperto e deflagra come una bomba in faccia alla malcapitata di turno. Che i femminicidi non sono una serie di singoli sfortunati episodi ma che sono gli anelli di una catena che ha origini molto lontane e che bisogna spezzare così come è stata creata. Si potrebbe in una lezione di Storia ricordare, ad esempio, che fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975 le donne erano per legge in stato di sottomissione all’uomo.
In una lezione di diritto si potrebbe sottolineare che fino al 1981 una donna che tradiva poteva essere uccisa dal marito con conseguenze penali lievissime, che fino alla stessa data il desiderio dell’uomo era sufficiente a costringere una donna a sposarlo, passando attraverso l’appropriazione fisica dello stupro. Si potrebbe dire, ancora, che nei libri di storia, di fisica, di scienze, di economia, i nomi sono tutti al maschile perché alle donne non era consentito studiare. Si potrebbe parlare del fatto che nei primi canti dell’Iliade ci sono due ragazze che si chiamano Briseide e Criseide trattate come bottino umano perché questa era la consuetudine nel mondo antico, che i Promessi Sposi sono la storia di una giovane di nome Lucia che cerca per ottocento pagine di sfuggire a uno stupro.
Si potrebbe aprire una discussione su cosa spinge ragazzi e ragazze ad accettare questo patto scellerato di controllo reciproco, fatto di spionaggio via web, di sorveglianza social, di geolocalizzazione consenziente, in cui ciascuno non vuole, non può, non sa più essere solo e le dipendenze e co-dipendenze aumentano.
Ma soprattutto, si potrebbe proprio in classe insegnare a gestire un rifiuto, un no, la frustrazione di essere respinti. Ammortizzare l’onda d’urto di essere lasciati, che non significa scomparire dal mondo o far scomparire gli altri. E bisognerebbe farlo non una lezione all’anno il 25 novembre o l’8 marzo, ma tutti i santi giorni.
Si potrebbe ricordare, infine, che per ogni fratello, ogni sorella violata c’è stata e ci sarà sempre una sorella, una Antigone che non resta zitta ma parla, e le sue parole diventano di fuoco, e, bruciando, incendiano le coscienze di tutti.