di Nick Cave
Era il 1° luglio 1999 e gironzolavo nel backstage del Meltdown Festival di Londra. Quell’anno dirigevo io il festival. Era la serata di Nina Simone. Germaine Greer era appena scesa dal palco dopo aver letto Saffo in greco antico davanti a un pubblico sinceramente perplesso. Nina Simone si era chiusa a chiave nel suo camerino e non lasciava entrare nessuno. La gente correva avanti e indietro, gridandomi cose. Era una tipica serata da Meltdown, fatta di genialità e caos contenuto a stento.
Per me e i miei amici, Nina Simone era una dea. La grande Nina Simone. La leggendaria Nina Simone. La provocatrice, sempre pronta a correre dei rischi, che ci aveva insegnato tutto ciò che ci serviva sapere sulla natura della disobbedienza artistica. Era il massimo, la più dura di tutti, e qualcuno mi stava dando un colpetto sulla spalla per dirmi che Nina Simone mi voleva vedere in camerino.
Nina era seduta al centro della stanza, vestita con una tunica bianca svolazzante. Gli occhi erano truccati con un bizzarro ombretto color oro metallizzatoin stile Cleopatra. Diversi uomini attraenti dall’aria preoccupata stavano schiacciati contro le pareti del camerino. Lei sedeva, imperiosa e combattiva, su una sedia a rotelle, bevendo champagne. Mi rivolse uno sguardo apertamente sprezzante.
«Voglio che tu mi presenti!», ruggì. «Sì», risposi. «Io sono la Dr. Nina Simone!». «Va bene», risposi. Capivo di trovarmi al cospetto della grandezza allo stato puro ed ero felice di potere, per un breve istante, esistere all’interno della sua orbita, e sapevo che la mia vita sarebbe stata segnata da quel momento. La adoravo.
Feci come mi aveva chiesto, presentandola al pubblico, e poi rimasi dietro le quinte per osservarla salire a fatica le scale fino al palco: era chiaro che Nina Simone non stava bene. La osservai mentre camminava lentamente, dolorante, fino al proscenio. Rimase in piedi, feroce e maestosa, davanti al suo pubblico, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati, guardandolo con aria di sfida. Tra gli spettatori, in quinta fila, vedevo il viso di Warren ( Ellis, musicista e autore di Il chewingum di Nina Simone, ndr), sbigottito e ardente come se fosse in un sogno.
Nina Simone si sedette allo Steinway. Si tolse un chewingum di bocca e lo appiccicò al pianoforte. Sollevò le braccia sopra la testa e, in un silenzio incantato, diede il via a quello che sarebbe stato il concerto più bello della mia vita – delle nostre vite – selvaggio e trascendente, nonché l’ultima esibizione di Nina a Londra.
Il concerto finì in uno stato di rapimento reciproco e Nina Simone scese dal palco come una persona diversa – rinfrancata, risvegliata, trasfigurata –, ma anche noi eravamo cambiati e non saremmo stati più gli stessi. Mai più. Mentre mi giravo per andarmene, Warren si stava arrampicando sul palco, con un’aria da posseduto, diretto allo Steinway.
Sono passati ventun anni (questo testo è stato scritto nel 2021, ndr). Il chewingum appartenuto a Nina Simone, che Warren aveva recuperato dal palco del Meltdown Festival avvolgendolo nell’asciugamano della cantante, è disposto in una teca a temperatura controllata, con imbottitura di velluto, su un piedistallo di marmo. Siamo nella Sala della Gratitudine, parte della mostra Stranger Than Kindness alla Biblioteca reale danese. Mentre la conservatrice sistema ilpezzetto di chewingum grigio sul piedistallo come una sacra reliquia, restiamo tutti in silenzio, in soggezione. Warren ha gentilmente concesso il chewingum al mondo. Ha trasformato il suo ricordo, trafugato dal pianoforte del suo idolo in un momento di estasi, in un’autentica reliquia. Rimarrà qui, su questo piedistallo a Copenaghen, mentre migliaia di visitatori lo osserveranno, sbalorditi. Resteranno meravigliati dal significato profondo di questo, tra i più comuni e transitori degli oggetti – un umile chewingum –, da come si sia potuto trasformare, grazie a un’infusione di amore e cura, in un oggetto di devozione, consacrato dall’adorazione incontrollata di Warren, non solo per la grande Nina Simone, ma per il potere trascendente stesso della musica.
La conservatrice della Biblioteca reale danese sistema una piccola luce gialla che illumina direttamente il chewingum e noi facciamo tutti un passetto indietro e, con il fiato sospeso, lo guardiamo risplendere.