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10 Ottobre 2022Morire all’italiana. Pratiche, riti, credenza
10 Ottobre 2022l filosofo delle religioni. Le manifestazioni dell’ultimo mese chiedono che il potere dei mullah abbandoni la sua morsa sullo spazio pubblico. E il velo rappresenta l’ultimo vessillo di questa secolarizzazione “moderna” iniziata nel 1979
Antoine Perraud
Anoush Ganjipour è filosofo delle religioni e specialista dell’Islam. Iraniano basato in Francia, è autore del saggio L’ambivalenza politica dell’Islam (Le Seuil, 2021), in cui, analizzando la fede musulmana, esprime la tesi di un movimento oscillante, al tempo stesso terreno e spirituale, che combina “una religione civile con una politica di amicizia divina”. “Tanto l’Islam legalista che l’Islam spirituale – spiega – sono politici e al tempo stesso antipolitici. Conducono simultaneamente a un pensiero di Stato e a un pensiero sovversivo”.
Come interpreta il gesto delle donne iraniane di tagliarsi delle ciocche di capelli?
Separarsi da una parte del proprio corpo, la ciocca di capelli, è per le donne un gesto di liberazione del corpo nella sua totalità. Questo è il messaggio che rivolgono alle autorità: vi lasciamo queste reliquie, ma il resto del nostro corpo ora è libero. Non potete più esercitare alcun controllo su di esso. La lotta della donne è giunta a maturità. Vent’anni fa, il movimento femminista si limitava a una precisa rivendicazione sociale, non politica, che toccava la questione del velo e altri aspetti della segregazione delle donne. L’insurrezione attuale, partendo dal velo, denuncia tutte le leggi ingiuste che, in nome dell’Islam prendono di mira le donne: il diritto all’adozione, all’aborto e al divorzio, il divieto di lasciare il Paese senza autorizzazione del marito o del padre e così via. Mi sembra che questo movimento sia riuscito a riassumere e sublimare tutta la lotta politica in Iran. Gli uomini hanno capito che difendere i diritti delle donne significa difendere tutti i diritti violati dallo Stato islamico e militare. Tutti sono figli o nipoti di generazioni di vittime di una repressione, a cominciare da quelli che sono stati massacrati durante i primi dieci anni della rivoluzione islamica del 1979. Ho sempre pensato che le donne occupassero un posto particolare nella strutturazione di un Islam politico. È nella questione delle donne che l’Islam mostra tutti i suoi limiti nel conformarsi al moderno modello di Stato: l’emancipazione delle donne è intollerabile agli occhi dell’Islam.
Intollerabile o impensabile?
È una tradizione intellettuale, sociale e politica da mille anni. La Legge su cui si fonda la religione ha per funzione di controllare i corpi, soprattutto il corpo delle donne, di limitarne il movimento e l’esposizione nello spazio pubblico e privato. Quando questa legge divina viene fatta propria dalle autorità, il controllo dei corpi prende una dimensione politica. Il cuore del problema, prima ancora della questione femminile, è l’intrusione della legge divina nello spazio pubblico. Non è possibile applicare la sharia e allo stesso tempo restare padroni del proprio corpo. Gli uomini e le donne iraniane oggi rivendicano, pagandolo a caro prezzo, il diritto di partecipare all’elaborazione delle leggi della società. Se si vuole pensare il rapporto dell’Islam con la politica nel contesto attuale non si può ignorare l’esperienza che dura in Iran dal 1979, come fanno certi intellettuali in Occidente e nel mondo arabo, limitandosi ad affermare che questa non è “la buona versione” dell’Islam. È al contrario la buona versione dell’Islam articolata alla politica. Lo Stato che Khomeini ha radicato in modo duraturo all’interno del mondo moderno ha preteso di risolvere la questione di quella che chiamo ‘ambivalenza dell’Islam’.
Ma nei suoi scritti denuncia l’‘eresia sottile’ di Khomeini…
Sì. Khomeini ha usato le dinamiche interne dell’Islam per dare vita a una versione moderna di Stato, di questa religione. Per le frange ortodosse dello sciismo, Khomeini è un eretico. Eppure è riuscito con la forza a creare una spaccatura all’interno dello sciismo, in cui la sua versione conta sostenitori, teorici e milioni di seguaci, tra cui l’uomo che ha attaccato Salman Rushdie il 12 agosto scorso. Il movimento di Khomeini è stato del resto altrettanto efficace nel mondo sunnita che sciita. La rivoluzione iraniana ha permesso tanto rivendicazioni islamiste che islamiche, confortando al contempo le popolazioni musulmane che rivendicano l’hijab. Prima di questo, leader arabi, come Nasser, se ne infischiavano del velo.
C’è un legame tra il Corano increato, ricevuto dalla parola divina, e la sharia, che si impone senza che la società possa esserne coautrice?
È uno dei nodi del problema. Esistono due tendenze all’interno dell’Islam. Da un lato, il rapporto diretto e immediato con il testo sacro, dall’altro l’autorità che lo interpreta e applica. I teologi hanno compreso molto presto nella storia dell’Islam, molto prima dei teorici del diritto moderno come Carl Schmitt, che la legge, per essere interpretata e applicata, ha bisogno di un’autorità pubblica e politica. È in epoca moderna e col protestantesimo che si è diffusa all’interno dell’Islam l’idea che ogni musulmano possa interpretare il Corano e il comandamento divino. All’origine, non si trattava di un gesto antimoderno, ma di fare dell’Islam, così riformato, un veicolo di modernità nel mondo musulmano. All’inizio del 900, prima dei Fratelli Musulmani, questa dinamica ha finito con l’essere strumentalizzata contro la modernità, attraverso quello che viene chiamato Islam politico.
Ma come si è passati dalla modernità all’egemonia?
È il paradosso di aver permesso alla Legge divina di invadere lo spazio pubblico. La tradizione islamica ha sviluppato tutta una serie di meccanismi per applicare la legge divina nello spazio pubblico. Uno dei principi più forti dell’Islam è: ordinare il bene, proscrivere il male. È a partire da questo obbligo che la Legge divina può imporsi nella società, invadendo anche la politica. Ciascuno può criticare gli altri, col rischio di generare il caos, o è meglio dotarsi di un’autorità politica legittima incaricata di applicare questo comandamento, evitando così l’anarchia? Khomeini ha messo fine a questa ambivalenza, autorizzandosi il monopolio esclusivo di interpretare la sharia e di applicarla nella società.
In Occidente si può pensare che liberarsi del velo voglia dire diventare atei…
Le folle iraniane chiedono che la religione rinunci al suo controllo sullo spazio pubblico, di separare il governo dalla religione. Ma c’è un punto su cui il regime non può cedere: l’hijab, unico e ultimo segno manifesto della presunta essenza islamica dello Stato iraniano. Se il governo cede sull’hijab, l’aggettivo “islamico” non ha più senso. La legittimità islamica sarebbe messa in discussione. Tanto più che in quattro decenni questo Stato è diventato militare, corrotto, immorale. Non ha più nulla di islamico. È un Leviatano moderno. Uno dei più immorali che si possa immaginare. L’Islam politico è in un’impasse. La sharia richiede un’autorità per imporsi nello spazio pubblico. In tutto il mondo arabo, o quasi, la tendenza egemonica nella popolazione si traduce oggi nell’islamizzazione della società e della politica. In Iran si assiste al movimento inverso. Con questo Stato islamico iraniano, associato a una lista interminabile di ingiustizie, non è più possibile parlare di capacità liberatoria dell’Islam. Nel 2009, due anni prima delle Primavere arabe, si era assistito a una rivolta in nome della teologia della liberazione contro la teologia di Stato: il Movimento verde. Tredici anni dopo, nelle lotte attuali, l’Islam come teologia della liberazione non ha più voce in capitolo. Viene associato esclusivamente all’autorità dello Stato. Lo Stato Islamico è riuscito a creare un movimento di odio generale contro l’Islam nella società. Se la fede persiste in diversi strati della popolazione, essa è accompagnata da un totale rifiuto dell’Islam, in particolare tra le donne, che ne sono le principali vittime. La società iraniana è arrivata al termine di un processo di secolarizzazione generato dalle ingiustizie commesse dallo Stato islamico. Un’esperienza storica dolorosa e anche rischiosa, perché lo Stato islamico ha profondamente danneggiato la società, le sue basi economiche, ecologiche, morali e psicologiche.
Traduzione di Luana De Micco