Francesco Grignetti
L’Italia è un pilastro della missione Unifil. Che a rigore dovrebbe essere chiamata Unifl-2, perché subentrò a una missione precedente che fu un clamoroso fallimento. Questo ruolo non va mai perso di vista perché furono gli italiani a essere richiesti espressamente dopo l’invasione israeliana del 2006 (anche allora avrebbero dovuto sradicare Hezbollah dalla terra). Occhi puntati su quel passaggio, allora, perché non si capirebbero gli eventi di oggi che vedono sotto attacco proprio i nostri soldati lì schierati con il Casco Blu.
L’invasione israeliana all’epoca lasciò macerie, ma anche la speranza che le Nazioni Unite trovassero un nuovo protagonismo. A comandare la missione Unifil-2 che tornava in Libano nel novembre 2006 sulla base di un mandato robusto, la Risoluzione 1701 (prevede il disarmo di tutte le milizie nella fascia di confine tra il fiume Litani e il confine, detto “blue line”) fu scelto il generale italiano Claudio Graziano, gradito a tutte e due le parti, reduce dal successo della missione di pacificazione in Mozambico. Diceva il generale nella sua ultima intervista a La Stampa: «Quando tornammo nel 2006 in Libano era una missione pesante, con armamenti corazzati e numero adeguato di soldati». Gli italiani, per dire, erano in 2500. E quelli di Unifil-2 fecero cose che appaiono piccole, ma furono enormi: segnarono il confine con una serie lunghissima di bidoni dipinti di blu perché fino a quel momento il confine tra Libano e Israele era un’opinione.
Poi nel tempo le cose si sono sfilacciate. Adesso Unifil-2 ha schierati sul campo diecimila soldati provenienti da 40 Paesi contributori. Il contingente più numeroso resta quello italiano anche se il comando spetta ora a un generale spagnolo: i nostri 1068 soldati provengono per lo più dalla brigata Sassari, con alcune centinaia di mezzi blindati e 6 velivoli. Li comanda il generale Stefano Messina. E ci compete la vigilanza sul settore Ovest del confine.
Sul mandato di Unifil-2 c’è stato però a lungo un grosso malinteso. Molti l’avevano inteso come un’azione di forza dell’Onu, in gergo di “peace enforcing”. Ovvero ci si aspettava che i Caschi Blu prendessero il controllo del territorio e disarmassero chiunque trovassero nell’area proibita. Invece il mandato è molto diverso: i Caschi Blu sono lì per il “peace keeping”, devono osservare e riferire violazioni della tregua al Palazzo di Vetro, e devono assistere l’esercito regolare libanese, cui è demandato il lavoro sporco. Sennonché questo esercito è debolissimo, certo molto più debole di Hezbollah. Insomma, gli hanno affibbiato il classico compito impossibile.
Ieri e il giorno precedente, però, il colpo di scena. Sono state colpite due basi degli italiani a Ras-Naqoura, la 1-31 e la 1-32, impiegata quest’ultima per gli incontri trilaterali prima della crisi. Dove appunto sono gli italiani i padroni di casa.
Le basi si trovano lungo la linea di demarcazione e ciò spiega l’insistenza degli israeliani affinché da qui e da altri posti di osservazione lungo il confine i Caschi Blu si ritirino di almeno 5 chilometri. Vogliono le mani libere nell’area, perché sostengono che ci sono tunnel di Hezbollah proprio da quelle parti e intendono radere tutto al suolo.
I soldati erano al riparo nei bunker della base 1-31, come accade ormai da giorni e perciò fortunatamente i colpi non hanno fatto male a nessuno. Difficile sostenere però che sia stato un errore, perché un drone militare israeliano ha sorvolato l’area dopo i colpi. Ma c’è di più e di peggio.
L’altra base, 1-32, è stata assalita al mattino di mercoledì 9, attorno alle 8 ora locale. A colpi di fucile sono state distrutte le telecamere che permettono ai soldati di continuare a seguire quello che accade fuori dal perimetro della base. In pratica, li hanno accecati.
Poche ore prima era arrivato in Libano il generale Luciano Portolano, neo Capo di Stato maggiore della Difesa. Lo inviava il nostro governo, su mandato espresso della premier Giorgia Meloni e del ministro Guido Crosetto. Si consideri che tra il luglio 2014 e il luglio 2016 il generale Portolano aveva comandato la missione e, quindi, forte dei suoi rapporti personali, Portolano assieme all’ambasciatore Fabrizio Marcelli ha incontrato «conoscenti di lunga data – come scrive l’ambasciata – quali lo Speaker Berri, il Ministro Sleem e il Capo delle Forze Armate Libanesi, generale Joseph Aoun». Portolano andava a confermare il sostegno dell’Italia al Libano. Qualche ora dopo, per tutta risposta, i soldati israeliani si esercitavano al tiro contro la base degli italiani.