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17 Novembre 2024Giancarla Cilmi, “Une passion italienne. Les Jacquemart-André collectionneurs”, Officina Libraria Giotto, Donatello, Mantegna… I coniugi Jacquemart negli anni della Belle Epoque: l’«hôtel particulier» nell’VIII arrondissement, le relazioni con conoscitori e antiquari (Bardini, Simonetti…), il ruolo cruciale di Nélie
Si potrebbe dire che per un museo che chiude, per quanto solo in parte e per un breve lasso di tempo, ce n’è sempre almeno uno che riapre. È questo il caso della Galleria Borghese di Roma e del Musée Jacquemart-André di Parigi. La galleria romana – ospitata nel Casino nobile della villa sul Pincio, voluta, all’inizio del Seicento, da Scipione Caffarelli-Borghese per esporre le sue raccolte di antichità e la sua collezione di pitture e sculture – è oggi parzialmente chiusa, poiché interessata da alcuni interventi di ristrutturazione finanziati con i fondi del Pnrr.
Dal canto suo, il museo francese – realizzazione del sogno borghese di Édouard André e Nélie Jacquemart, la cui collezione è oggi divisa tra l’hôtel particulier nel cuore dell’VIII arrondissement di Parigi e l’abbaye royale de Chaalis, a quaranta chilometri dalla capitale francese – ha da poco riaperto le sue porte ai visitatori dopo una pausa di oltre un anno dovuta a importanti lavori di ristrutturazione.
Ma cosa lega oggi due case museo tanto diverse quanto lontane nel tempo e nello spazio? Apparentemente non molto, fatta eccezione per la comune passione collezionistica dei rispettivi fondatori. Eppure, ciò è bastato affinché la cerimonia di riapertura del museo parigino, lo scorso 5 settembre, coincidesse con la presentazione, nelle salette dedicate alle esposizioni temporanee, di una mostra con una quarantina di opere provenienti proprio da Roma (Chefs-d’oeuvre de la Galerie Borghèse, catalogo Fonds Mercator éditions, € 40,00, fino al 5 gennaio 2025).
Sebbene l’interesse scientifico delle mostre allestite presso il Jacquemart-André non sia sempre all’altezza del prestigio dell’istituzione stessa, ci si potrebbe chiedere se, al di là della retorica che lega gli interessi artistici della coppia di collezionisti francesi al cardinal nepote, non sarebbe stato doveroso inaugurare questa nuova stagione del museo con una serie di eventi, non solo espositivi, dedicati alla sua ricca collezione, al suo meraviglioso involucro – il palazzo fatto appositamente costruire dal ricco banchiere Édouard André tra il 1869 e il 1875 al 158 di boulevard Haussmann, su progetto di Henri Parent – e ai due artefici di questo piccolo gioiello che ancora oggi incanta rinomati specialisti e semplici visitatori provenienti da tutto il mondo.
A tal riguardo, nell’ultimo anno, le occasioni per fermarsi e riflettere sul passato, ma anche sul futuro, del museo non sono affatto mancate. Il recente cantiere di restauro ha coinvolto larga parte dei suoi ambienti: dalle antiche sale di rappresentanza al piano terra (il fumoir, il jardin d’hiver, la sala da pranzo) al cortile d’onore e agli stessi depositi del museo, passando per il celebre scalone monumentale che conduce al musée italien posto al piano superiore. Solo questo avrebbe meritato opportune celebrazioni.Il caso ha però voluto che, in contemporanea con la riapertura del museo, fosse pubblicato l’elegante volume Une passion italienne Les Jacquemart-André collectionneurs di Giancarla Cilmi (Officina Libraria, pp. 492, 118 ill. a col. e b/n, € 39,00).
Quello della giovane ricercatrice italiana è un nome noto nel mondo dell’arte, non solo parigino, essendo stata una dei curatori, assieme al conservatore Pierre Curie, del recente, quanto atteso, catalogo dei dipinti italiani (Musées Jacquemart-André. Peintures italiennes du XIVe au XIXe siècle, éditions Faton, e 74,00), frutto di un lungo lavoro collettivo e strumento imprescindibile per qualsiasi ricerca futura sulla collezione. Alle prese con la sua prima monografia, nella quale confluiscono i risultati di lunghe ricerche sulla storia del museo e delle sue raccolte, Cilmi dimostra ancora una volta di possedere la maturità necessaria per essere annoverata fra i principali specialisti di storia del collezionismo e del mercato dell’arte tra Francia e Italia au tournant du siècle.
Nella prima parte del volume, dedicata alla vita dei coniugi André, Cilmi rivolge un’attenzione particolare al percorso di Nélie, che da pittrice di origini modeste divenne una delle donne più ricche di Francia. Ricostruire il profilo biografico di Madame André non dev’essere stato certamente un compito semplice per via della scomparsa del suo archivio personale, il quale si sospetta che sia stato distrutto dalla stessa Nélie: se ne conserva solamente il un piccolo carnet de notes relativo a un viaggio in Spagna, per il quale si rimanda in particolare a un altro recente volume di Pierre Curie e Jean-Marc Vasseur, Nélie Jacquemart: Artiste et collectionneuse de la Belle Époque (éditions Vendémiaire, e 26,00). Nonostante l’assenza di documentazione privata, Giancarla Cilmi ha saputo dedurre importanti informazioni circa la personalità di Nélie Jacquemart, sottoponendo a disamina accurata i documenti a carattere amministrativo (lettere, fatture, ricevute di viaggio) tuttora conservati, seppur mai inventariati, presso il museo parigino, ed è in questo che risiede il punto forte del suo lavoro. Lo spoglio sistematico degli archivi Jacquemart-André, cui ha dedicato la sua tesi di dottorato, ha infatti permesso all’autrice di fare chiarezza su diversi punti oscuri della storia della raccolta, ma soprattutto di contribuire alla definizione del modus operandi di questa coppia di amateurs e alla ricostruzione della fitta trama di contatti professionali e umani che ne ha caratterizzato l’attività collezionistica.
A tal proposito, risulta essere particolarmente preziosa l’appendice documentaria contenente la corrispondenza (oltre 150 lettere), in gran parte inedita, intrattenuta da Nélie Jacquemart coi principali connoisseurs, conservatori e antiquari dell’epoca. In questo modo il volume tenta di risollevare dall’oblio molti dei personaggi che hanno contribuito alla nascita della casa museo. Antiquari del calibro di Stefano Bardini (forse il più celebre fra gli attori coinvolti in questa storia), Vincenzo Ciampolini, Antonio Grandi, Attilio Simonetti e Michelangelo Guggenheim, per citarne solo alcuni, rinascono attraverso queste pagine, così riprende vita l’assetto iniziale del museo, accuratamente ricostruito partendo dalle descrizioni dei suoi primi visitatori e dalle fotografie antecedenti al primo conflitto mondiale. Il ricco apparato iconografico del volume permette quindi di viaggiare à rebours di oltre un secolo, fino al 1912, anno della morte di Nélie Jacquemart, che sancisce il passaggio di proprietà delle collezioni all’Institut de France.
Coerentemente con il suo ruolo di proprietario della «Gazette des beaux-arts», il giovane Édouard André si interessò dapprima alla pittura francese del Settecento. Si avvicinò all’arte italiana solo dopo le nozze, probabilmente grazie a Nélie, la quale, tra il 1881 e il 1912, accumulò un insieme di oltre 4000 dipinti, sculture e oggetti d’arte italiani, tra cui spiccano opere di Giotto, Donatello e Mantegna. Ma la passione dei due collezionisti non si limitò all’età del Rinascimento. Gli affreschi di villa Contarini dei Leoni a Mira (VE), dipinti da Giambattista e Giandomenico Tiepolo verso il 1745-’50, figurano sicuramente tra gli acquisti più importanti dei coniugi André: dal 1893 decorano lo scalone monumentale e il soffitto della sala da pranzo del loro hôtel parigino.
A seguito dell’apertura al pubblico, avvenuta il 9 dicembre 1913, il primo conservatore del museo, Émile Bertaux, operò numerose modifiche all’allestimento, cambiamenti che toccarono in particolare le sale del musée italien, al fine di renderle più facilmente accessibili al crescente numero di visitatori.
Fra gli happy fews che hanno avuto la fortuna di visitare l’hôtel Jacquemart-André prima della sua inaugurazione c’era anche un italiano: Lionello Venturi. Lo storico dell’arte modenese, all’epoca giovane direttore e sovrintendente della Galleria Nazionale di Urbino, affidò a un articolo pubblicato nel 1914 sulle pagine de «L’Arte» le sue impressioni sulle sale del museo, «ove un miracolo sembra sia stato compiuto, il valore grandissimo di questo o quel singolo oggetto scompare davanti al valore unico dell’insieme». A custodire la memoria storica di questa «risorta casa del Rinascimento Italiano», contribuisce da oggi anche la bella monografia di Giancarla Cilmi.