Irriverente e anticipatore. Unico e grottesco Il pittore belga morto 75 anni fa è protagonista di quattro mostre ad Anversa
Lara Crinò
ANVERSA
Sperimentato resulfureo e irriverente. Borghese estremista. Viaggiatore da fermo. Pittore delle maschere, come un Guardi o un Longhi d’alta Europa, eppure a Venezia non era mai stato. Pittore di girasoli e vasi di fiori, eppure dichiarava di non amare Van Gogh. Maestro di homage ai grandi, con il capo rivolto all’indietro – ai mostri di Goya, ai ritratti di Rembrandt, a consessi amorosi di Watteau – ma anche autore di affollatissime, gigantesche, geniali satire della sua contemporaneità. Cercare di catturare Ensor, il più grande pittore fiammingo degli ultimi duecento anni, è come tentare di afferrare uno spettro o la scia di un sogno. E ai sogni, ai sogni oscuri e selvaggi su cui James Ensor, nei suoi ultimi anni Baron Ensor per volontà del sovrano belga, volle a lungo regnare, è intitolata la grande mostra che gli dedica il KMSKA di Anversa. In programma fino al 19 gennaio 2025 con il titolo In Your Wildest Dreams, l’esposizione del Museo reale di belle arti, che possiede la più vasta collezione al mondo di opere dell’artista, si è aperta in contemporanea con tre mostre a lui dedicate o ispirate in altre istituzioni culturali della città.
Al Museum Plantin-Moretus, casa museo della più celebre famiglia di stampatori della regione dai tempi di Rubens, va in scenaEnsor in Search of Light. Experiments on Paper, dedicata alla sua produzione grafica, vero controcanto della mostra del KMSKA e ugualmente da non perdere. Il Fo-Mu lo omaggia con una personale della fotografa americana Cindy Sherman, che ha fatto del mascheramento la sua cifra fin dagli esordi. Il MoMu, grande centro dedicato alla moda, esplora infine le dimensioni antropologiche e artistiche del trucco con Masquerade, Make-up & Ensor. Nelle Fiandre, in occasione dei 75 anni dalla morte, questo è stato l’anno di Ensor: apertosi con Rose, Rose, Rose À Mes Yeux! al Mu. ZEE di Ostenda, dove l’artista era nato nel 1860 e dove morì nel 1949, si chiude in grande stile con questo progetto/ quartetto che vuole ampliare la conoscenza di Ensor raccontandone tutta la carica innovatrice in una prospettiva non più soltanto nazionale, proprio a partire dalla mostra del KMSKA.
Lo chiarisce bene il curatore Herwig Tods, definendolo « un pittore europeo, che cambia le carte in tavola nello snodo cruciale tra XIX e XX secolo, facendo da precursore all’Espressionismo e al modernismo » . Così, la prima sezione ricostruisce i rapporti tra Ensor e l’Impressionismo francese; una rivoluzione conosciuta inizialmente soltanto attraverso le riviste illustrate. « Il quadro più celebre di questa stagione, La mangiatrice di ostriche ( 1882) più che un quadro impressionista rappresenta l’idea che Ensor si è fatto dell’Impressionismo » chiarisce Tods. Rifiutato dall’Essor Salon, il quadro fu esposto con iLes XX, il gruppo creato da Octave Maus per portare a Bruxelles l’arte nuova. Fu all’interno di Les XXche Ensor conobbe i pittori che gli avrebbero insegnato che anche gli incubi possono avere un’apparenza luminosa. Per raccontare questo incontro, al KMSKA sono arrivati il celebre Limone ( 1880) di Manet, una lussuriosa
Natura morta con pesche e uva diRenoir ( 1881) e una limpida Veduta di Bordighera ( 1884) di Monet. Ensor assorbì la lezione alla sua maniera: ossia allucinata, vagamente fuori fuoco, come se i suoi occhi non potessero che guardare contemporaneamente in più direzioni diverse.
Così nello stesso 1887 dipinseAdamo ed Eva cacciati dal Paradiso, un quadro quasi turneriano e carico di inquietudine, e disegnò, su 51 fogli separati e poi incollati su tela, Le tentazioni di Sant’Antonio: non un semplice omaggio a Hieronymus Bosch ma una meravigliosa, terrificante cacofonia dove Ensor mette in scena la modernità capitalista e spietata: l’opera, acquisita e restaurata dall’Art Institute di Chicago anni fa, è arrivata dagli Stati Uniti, mentre non può viaggiare il capolavoro ensoriano che dalle Tentazioni sembra prendere i suoi passi, ossia la monumentaleEntrata di Cristo a Bruxelles (1888), conservato al Getty di Los Angeles, considerato il cardine del passaggio alla stagione più nota, quella delle maschere e dei teschi. Con un allestimento teatrale, che riproduce l’entrata del parigino Cabaret de l’Enfer, le sezioni successive dell’esposizione allineano le opere di un artista che fino all’ultimo sembra non aver fatto altro, per raccontarci la vita, che corteggiare la morte e i suoi simboli. Lo ha fatto utilizzando tutti i toni, in primis lo humour nero e beffardo tipicamente belga del suo tempo (lozwanze), e tutte le iconografie: dai popolari disegni delle Lanterne magiche così in voga all’epoca, alle visioni dei Primitivi come Bruegel, al Rinascimento allucinato degli artisti di Anversa come Frans Floris. Un ininterrotto corto circuito temporale che l’ha proiettato, più postmoderno che moderno, nel Ventesimo secolo, e che l’ha fatto amare da Emil Nolde e da Paul Klee, che prediligeva il suo pionieristico, sperimentale approccio all’incisione. Così, oltre alle tante Maschere, nelle ultime sale incontriamo un piccolo olio su tela del 1891, L’Uomo dei dolori, che sarebbe piaciuto a Basquiat. È un Cristo disperato, dal viso piegato in una smorfia di sofferenza, un Cristo incerto della gloria della Resurrezione. Non lo siamo forse tutti?