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Un maestro del pensiero rilegge la storia della filosofia. In dialogo tra fede e sapere
di Andrea Radaelli
«Non intendo nascondere un motivo che mi ha condotto, in età avanzata, all’assiduo e prolungato interesse per la storia della filosofia. Mi sono semplicemente divertito a leggere molti testi importanti che non avevo mai letto e a rileggerne (…) altri che avevo già consumato in contesti specifici e che adesso ho ripreso in mano dal punto di vista di un anziano professore di filosofia». Con questa riflessione Jürgen Habermas introduce l’ampio progetto, avviato nel 2019, che inizialmente sarebbe dovuto andare sotto il titolo Sulla genealogia del pensiero postmetafisico. Anche una storia della filosofia lungo il filo conduttore del discorso su fede e sapere, ridotto ad Anche una storia della filosofia «alludendo a un celebre saggio di Johann Gottfried Herder».
L’opera nel suo complesso si compone di tre volumi, dei quali Feltrinelli, nella collana Campi del sapere, propone ora in edizione italiana il primo, dal titolo (elidendo la particella «anche») Una storia della filosofia, 1. Per una genealogia del pensiero postmetafisico, a cura di Luca Corchia e Walter Privitera, con la traduzione di Massimo De Pascale, Giorgio Fazio, Luca Corchia e Walter Privitera, suddiviso in tre capitoli (dei dieci complessivi): 1) «Il problema della genealogia del pensiero postmetafisico», 2) «Le radici sacrali delle tradizioni dell’età assiale», 3) «Un confronto provvisorio tra le immagini del mondo dell’età assiale», al termine dei quali è posta la «Prima considerazione intermedia. Le traiettorie concettuali dell’età assiale».
Secondo la prospettiva habermasiana la filosofia s’inserisce «lungo il filo conduttore del discorso su fede e sapere», poiché «alle sue origini era una di quelle immagini metafisiche e religiose del mondo dell’età assiale», soltanto con la nascita del platonismo cristiano nell’Impero romano «il discorso su fede e sapere ha acquisito un ruolo costitutivo per l’ulteriore sviluppo dell’eredità filosofica greca». Da questa premessa Habermas tenta di elaborare, nel primo capitolo, una genealogia del pensiero postmetafisico, il cui «stadio iniziale» si può delineare «solo situandolo approssimativamente verso la metà del XIX secolo, nel solco di Kant e Hegel». Rilevante è il macro-tema dell’osmosi occidentale tra fede e sapere, esauritasi con la definitiva separazione dei due campi agli albori della modernità, del quale, pur essendo oggetto dei volumi successivi, comunque Habermas nella quarta parte del primo capitolo («Assunti fondamentali di teoria della società e prospettive programmatiche») abbozza uno schema sommario, concentrandosi «sulla traiettoria che ha portato alla costellazione specificatamente occidentale» conducente dall’unione tra cristianesimo delle origini ed ellenismo sino al pensiero post-kantiano (Feuerbach, Marx, Peirce), passando per il Medioevo, «un’epoca altamente produttiva dello spirito umano, nella quale si realizzano processi di apprendimento collettivi che segnano per sempre la nostra storia».
È interessante notare come secondo Habermas, pur essendosi al termine di questo percorso «consumata definitivamente la separazione tra fede e sapere, il dialogo tra filosofia e religione continua a essere fruttuoso, perché i contenuti della tradizione religiosa rappresentano ancora oggi, anche per i non credenti, un prezioso serbatoio non esaurito di intuizioni morali». Altro perno centrale di questo primo volume è l’espressione, già accennata, di «età assiale» introdotta da Karl Jaspers «con l’intento di superare l’angusto sguardo eurocentrico sullo sviluppo culturale occidentale e di scoprire origini comuni nella molteplicità delle civiltà moderne ancora fortemente influenzate dalle loro radici religiose», andando a identificare «il VI secolo a.C. come l’asse attorno al quale la rotazione della storia del mondo si fa, per così dire, più rapida. Infatti in un arco di tempo relativamente breve, che si estende approssimativamente tra l’800 e il 200 avanti Cristo, nella mentalità delle élite delle prime grandi civiltà eurasiatiche si verificano rivoluzioni simili ma indipendenti l’una dall’altra», da queste «sono scaturite le immagini del mondo (forti), religiose e metafisiche», il rito e il mito, in cui «la ragione è già all’opera nella (loro) formazione» e che sono elementi «stabilizzatori della società e, al tempo stesso, aprono vie d’accesso destabilizzanti al sapere dissonante dell’esperienza».
Necessari, come analizzato nel secondo capitolo, per evitare durante la comparsa di Homo sapiens il crearsi del dissenso tra i membri della società. Il terzo capitolo, consente al filosofo tedesco di «illustrare con precisione l’enorme salto cognitivo», che porta a «un congedo definitivo dal mondo piatto delle credenze magiche» a favore di «principi generali che moralizzano il sacro» e di una «dimensione trascendente (divinità o legge cosmica)», svolto dalle «quattro culture assiali» riconoscibili in giudaismo, buddhismo, confucianesimo (e taoismo), e pensiero filosofico greco (da Anassimandro a Socrate, mancante di un radicamento nella prassi rituale, e con un alto grado di discorsività nella dottrina delle idee di Platone).
A chiudere la parte preliminare dell’opera la «Prima considerazione intermedia» (delle tre complessive) dove si sviluppa «il nodo teorico» della genealogia habermasiana : le immagini mitiche del mondo sono il frutto di «una confusione categoriale, inevitabile da un punto di vista evolutivo, tra mondo della vita, mondo quotidiano e mondo oggettivo».