Il nome di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani lo conoscono in pochi, ma il suo pseudonimo, Kader Abdolah, è tra i più noti nella letteratura contemporanea olandese, così come i suoi folti baffi invecchiati insieme a lui. I suoi romanzi hanno ricevuto numerosi riconoscimenti e in Italia lo scrittore nato ad Arak nel 1954 ha un nutrito pubblico di lettori. Alla fiera della piccola e media editoria di Roma “Più libri più liberi” è stato presentato il suo ultimo libro “Il Faraone d’Olanda”, edito da Iperborea.
Nella sala Elettra gremita di persone i posti a sedere sono finiti e diverse persone sono in piedi ad ascoltare la voce cavernosa di Kader Abdolah. «In Iran sta nascendo qualcosa di grande», dice lo scrittore iraniano che conosce bene la brutalità degli Ayatollah. Nel 1988 ha dovuto lasciare il paese perché considerato un oppositore e dissidente politico.
Dopo una breve parentesi di vita in Turchia ha trovato protezione internazionale in Olanda e dall’Europa ha continuato a raccontare le contraddizioni e le difficoltà del suo paese al mondo intero. «Questa protesta non ha un leader. In Iran non ci sono opposizioni, non ci sono partiti, non ci sono giornali liberi. Ogni donna, in questo momento, è una leader. Sta accadendo qualcosa di bellissimo e tragico allo stesso tempo, ma il fatto che gli ayatollah non abbiano un interlocutore è il tallone d’Achille di queste proteste».
Nei suoi scritti ritorna sempre l’Iran e la sua condizione di esule. In un’intervista racconti che prima di lavorare a questo libro si era promesso di scrivere qualcosa totalmente estranea da te. Ma hai anche ammesso che non ci sei riuscito. Che libro è, quindi, il Faraone d’Olanda?
È molto importante ed eccitante per uno scrittore non sapere cosa può ottenere da se stesso. Se non sai cosa incontrerai nelle pagine seguenti del libro che stai scrivendo, in fondo, è una buona notizia. Quest’ultimo libro parla di un importante argomento dei giorni nostri: l’immigrazione. Ci sono milioni di persone che si spostano e vogliono arrivare in Europa o in altri luoghi ma la cosa più importante è che loro vogliono profondamente tornare a casa. Trent’anni fa è iniziato questo grande movimento di persone. È uno dei flussi migratori più grandi mai accaduti nell’età contemporanea. E negli ultimi trent’anni non è cambiato nulla se non il fatto che ora le persone sono consapevoli che non sono capaci di fermare il flusso. In Italia, Olanda e altri paesi d’Europa le persone non avevano problemi all’inizio e ora, invece, si chiedono quando si fermi questo flusso di persone che arriva nei loro paesi.
È una questione politica?
Non è un problema politico, è un problema umano. Dopo la prima Guerra mondiale molti immigrati sono arrivati in Europa e le persone all’inizio erano impaurite ma poi hanno accettato la loro presenza. La stessa cosa è accaduta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. È un processo di accettazione lungo che ha bisogno di tempo.
In questo momento non posso non farle domande su ciò che sta accadendo in Iran, soprattutto a uno scrittore con un passato come il suo. Lo pseudonimo che usa, Kader Abdolah, rappresenta i nomi di due oppositori politici uccisi dagli ayatollah. Allo stesso tempo si porti dietro la violenza del regime e la sua memoria. È uno pseudonimo appartenente a un’epoca rivoluzionaria, come definisce ciò che ora sta accadendo in Iran?
Per fare una rivoluzione c’è bisogno che milioni di persone scendono in strada a protestare. Non solo i fratelli o le sorelle. Alla rivoluzione devono partecipare anche i nonni, i contadini, gli operai. Tutti devono manifestare, ma non è ancora questo il momento.
Perché?
In Iran c’è una dittatura molto selvaggia, brutale, che uccide e distrugge. È molto pericoloso. Uccidono i manifestanti e oppositori. Il regime non vuole perdere in questo momento.
Rispetto ad altri moti di protesta c’è una forte componente femminile. Pensa che sia questa la vera forza di queste proteste?
Non è soltanto la protesta più forte, ma anche la più bella di tutte quelle che abbiamo avuto. Ma allo stesso tempo è molto fragile, perché i manifestanti sono giovani e il regime può “spezzarli” facilmente. Manifestano a mani nude e senza armi contro la brutalità degli Ayatollah. È una protesta potente e impotente allo stesso tempo.
Prima ha detto che per gli ayatollah il velo delle donne è come il muro di Berlino. Però alla fine quel muro è stato abbattuto…
Anche in un giorno futuro il muro degli Ayatollah crollerà. Ma quel giorno non è adesso, ci vuole tempo.
Cosa pensa dell’abolizione della polizia morale? È una prima concessione del regime ai manifestanti o è soltanto uno specchietto per le allodole?
In questo momento la polizia morale non osa tornare per le strade. Hanno detto che l’hanno soppressa ma in realtà hanno solo cambiato il loro approccio. Se trasgredisci le regole e non indossi correttamente il velo vieni punito economicamente. Ti possono fare una multa, perdi il posto di lavoro o ti viene addirittura negato l’accesso in banca. È soltanto un’illusione.
L’Iran di oggi è lo stesso di quello che ha lasciato tanti anni fa?
È cambiato tutto. Le ragazze, le donne, sono scese in strada e nella mia epoca questa cosa non era possibile. Eravamo solo uomini, c’erano Che Guevara, Castro, Kader, Abdolah e ora non ci sono più.
Vede qualche analogia rispetto alle primavere arabe?
Le primavere arabe sono state diverse. Si sono concentrate in un breve lasso di tempo e hanno ottenuto piccoli risultati. Sono state come neve sciolta una volta arrivato il sole. Ma quello che sta accadendo in Iran è diverso, è vero progresso. È un processo lungo che ha raggiunto un primo risultato: la paura non c’è più. Non c’è più paura degli Ayatollah, ora i manifestanti chiedono la loro morte. Ai miei giorni era impensabile una cosa del genere. Penso che dopo questo grande movimento ci sarà più spazio per nuovi partiti politici e una maggiore libertà di stampa. Gli ayatollah non sono folli, sono consapevoli che le persone non sono soddisfatte e che torneranno di nuovo a manifestare. Devono cedere qualcosa.
Qual è il ruolo degli intellettuali della diaspora in queste proteste?
Il nostro ruolo è molto importante. La nostra voce è conosciuta da tutti e possiamo portare quella degli iraniani fuori dal paese.
Era considerato un oppositore del regime e per questo sei dovuto andare via. Come vive la sua condizione di esilio?
È doloroso e meraviglioso allo stesso tempo. È magico. Sono diventato un uomo e uno scrittore migliore. È una condizione che ti avvicina alla vita. È un onore. Ma ci sono dei limiti da rispettare e a volte bisogna fermarsi e dire basta.
Quindi vorrebbe tornare in Iran se avesse l’opportunità
È la migliore cosa per me. Emigrare per uno scrittore o un artista è un’ottima cosa. Ma dopo tanti anni è abbastanza, ho visto tutto quello che avevo bisogno di vedere.
Per chi invece vuole lasciare il paese. L’Europa è pronta ad accoglierli?
Non ha scelta. Deve far entrare i migranti, ne ha bisogno. Non si può fermare un fiume. Non si può fermare la pioggia. Puoi provarci ma non ci riuscirai.