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22 Dicembre 2024di Stefano Bucci
La Suggeritrice si muove in silenzio negli spazi di quel Pac di Milano disegnato nel 1948 da Ignazio Gardella, uno fra i primi esempi in Italia di architettura progettata per l’arte contemporanea, simile alle Kunsthalle europee. La sua è una presenza tranquilla, quasi anonima nella selva assai eterogenea (per genere, età, stile) dei tanti visitatori. Poi all’improvviso, scelta la vittima, colpisce implacabile, sussurrandole all’orecchio un’unica frase, ripresa da una conferenza di Carmelo Bene (1937-2002) su Platone: «Nella tasca destra l’Oriente, nella tasca sinistra l’Occidente». «Suggerita quasi come un oracolo», nelle intenzioni dell’artista «la frase stessa rappresenta un inarrestabile flusso migratorio da un corpo a un altro, richiamando l’attenzione sulla necessità di attraversare i confini culturali che separano i popoli».
La mostra di Marcello Maloberti (Codogno, Lodi, 1966) è una performance a tutto tondo in cui il pubblico finisce per essere continuamente coinvolto, un cantiere contemporaneo che celebra, da una parte, «l’arte arrabbiata che mette in discussione il mondo» e, dall’altra, Milano, palcoscenico che lo stesso Maloberti definisce «perfetto» per la sua produzione. A Milano (o meglio: alla sua storia) guarda fisicamente, l’installazione Cielo (realizzata nel 2022 per Bangkok e qui rimodellata su Milano) all’esterno del Pac: un monumento/anti-monumento con la scritta Cielo al neon bianco (nella grafia dell’artista) sorretta dal braccio meccanico di un autocarro utilizzato per le manutenzioni edilizie. Sempre a Milano (o meglio: alla sua storia) rimanda M (2024): un cartello stradale di ingresso appunto a Milano rovesciato e sospeso al soffitto, con un titolo che rimanda alla «M» di Mussolini, mentre la posizione ribaltata del cartello allude al corpo del dittatore, appeso a testa in giù in piazzale Loreto il 29 aprile 1945. Un modo per ribadire «la dimensione sociale e politica dell’operare artistico» di Maloberti.
I visitatori-attori si confrontano così di volta in volta con opere-installazioni fuori dagli schemi: Metal Panic (2024), che dà il titolo alla mostra curata da Diego Sileo, è, ad esempio, una partitura per fucile (protagonista un giovane musicista-performer chiuso da Maloberti in un rigorosissimo smoking) «che reinventa la funzione originaria degli oggetti, trasfigurandolo in uno strumento musicale»; Chance di un capolavoro (2024), il cui titolo riprende quello di un’opera di Marco Mazzucconi del 1989, è un fregio collocato nella prima sala che addolcisce la violenza delle forbici con delicate piume d’oca bianche («un atto di iperdecorativismo capriccioso»); Tilt (2024) è un guardrail che si snoda come un disegno spaziale tra le stanze del Padiglione; In search of the miraculous (2024) si ispira invece alla prima autobiografia di Carmelo Bene (Sono apparso alla Madonna, Longanesi, 1983) per raccontare una Madonna miracolosa (rappresentata da una statua ottocentesca a grandezza naturale): amareggiata, girata contro la parete, «nega ogni contatto visivo con chi la cerchi creando un cortocircuito con il pubblico, che resta come sospeso in attesa dell’apparizione mistica».
Accanto a lavori realizzati (o riprogettati) per la mostra del Pac, Maloberti ripropone anche alcuni suoi classici come la serie delle Martellate iniziata nel 1990 (dichiarazioni politiche, aforismi, versi poetici legati al sacro, al mistico, al sogno) che qui prende forma in otto neon nello spazio del parterre, che come pagine di un libro aperto formano frasi di luce davanti alla vetrata di fondo che dà sul giardino del Pac. La vertigine della Signora Emilia (2024) riprende il titolo di un lavoro del 1992, che «eleva» la tovaglia a scacchi da pizzeria a opera d’arte, accostandola alla bandiera nazionale e trasformandola in un sipario «per l’ininterrotto spettacolo teatrale dell’Italia contemporanea, che come vogliono suggerire i tubi e i sacchi da cantiere, si deve ancora costruire e contemporaneamente già restaurare».
La Project Room del Pac è stata invece trasformata in una sorta di replica della casa di famiglia in cui Maloberti è cresciuto, a Casalpusterlengo, luogo chiave che non ha mai smesso di influenzare la sua arte: Famiglia Metafisica (1990-2015) è un ritratto di Maloberti insieme alla madre e alla nonna al centro del salotto, in una posa regale che ricorda i manichini metafisici; nella fotografia Casa (1993-2019) la nonna di Maloberti è accovacciata, come un bambino che gioca a nascondino, sotto il tavolo della cucina di casa con il tavolo stesso trasformato in una sorta di rifugio temporaneo (la stessa fotografia potrebbe essere il simbolo di quello che significa «arredo domestico»). Mentre in Famiglia Reale (1993) ancora la nonna e la madre sono ritratte nel primo studio dell’artista, vestite allo stesso modo «per esaltarne la parentela, facendole quasi sembrare gemelle disallineate in età». Alle radici in senso più ampio richiama a sua volta Kasalpusterlengo, la fotografia scattata nel 2006 scelta anche per la copertina del catalogo: Maloberti è qui appeso al cartello stradale di Casalpusterlengo, in uno sforzo atletico che mette in scena l’attaccamento al suo paese di origine e la devozione nei confronti (appunto) delle radici (conservato per quasi vent’anni dall’artista, lo stesso cartello viene ripresentato come un reperto archeologico nelle stanze del Pac).
Se la «K»di Kasalpusterlengo è un omaggio a Pier Vittorio Tondelli, la pozzanghera plumbea al centro della stanza che accoglie Sironi (2024) è formata da ritagli di riproduzioni di opere di Mario Sironi (1885-1961). In continuità con Vir Temporis Acti, una serie avviata nel 2016, un’altra performer come la Suggeritrice ha abitato la sala durante l’inaugurazione della mostra «mettendo in atto una continua azione di ritaglio dei frammenti dell’universo sironiano, trasformando il pavimento in un grande quadro privo di ogni dimensione». Rovesciando i ruoli tradizionali tra artista (uomo) e modella (donna), «la performer — spiega Maloberti — ha scolpito e ritagliato la materia della carta per conferirle nuova forma, riconfigurando i quadri di Sironi e donando loro nuova leggerezza».
Petrolio (2024) è a sua volta un omaggio all’omonimo romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini: 255 libri, aperti a metà e allineati con coltelli da cucina «come soldati» a fare da segnalibri. «Mentre da un lato — spiega Maloberti — i coltelli sono strumenti di un taglio metaforico improvviso e rabbioso, che rimanda alla potenza intrinseca nella poetica di Pasolini e alla sua morte violenta, il loro giacere innocuo sulla carta allude alla forza rimasta inespressa del messaggio pasoliniano».
Le ombre di Bene, Tondelli, Sironi, Pasolini, Franz Kafka, Lucio Fontana, Luciano Fabro, Carla Lonzi si ritrovano costantemente nelle opere di Maloberti, che nel 2019 con l’installazione-perfomance Cuore mio aveva reso omaggio anche a Maria Lai. Ombre che ogni volta l’artista si diverte a resuscitare, magari attraverso le parole di una Suggeritrice. Oppure come accadrà nell’ultimo weekend della mostra (che chiuderà il 9 febbraio) quando Ninetto Davoli, icona pasoliniana per eccellenza, farà un baciamano a ciascuno dei visitatori: un modo per riunire l’italia (la performance era stata messa in scena nel 2016 all’apertura della Quadriennale di Roma sempre con Davoli) sotto il segno di un arte «arrabbiata».
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