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29 Novembre 2024Le file nei luoghi del film, un paese trasformato in albergo di lusso: «Così si muore»
Antonio Montanaro
«Che cosa succede quando, su un territorio meraviglioso e fragile, calano interessi imprenditoriali fuori scala, pesanti e autoreferenziali?». La Val d’Orcia, passata la grande paura del Covid, sta subendo una lenta e rischiosa trasformazione dovuta sopratutto a un turismo d’assalto spesso più interessato ai luoghi dove sono state girate scene simbolo di film di successo — uno per tutti, il Gladiatore di Ridley Scott — che ai paesaggi naturali e alla cultura del posto.
Le carovane armate di smartphone in coda alle porte di San Quirico d’Orcia per un selfie nel viale dei cipressini che conducono al casolare diventato la casa di Massimo Decimo Meridio da cui arrivano i soldati che uccidono la moglie e il figlio del gladiatore, sono oramai un corto circuito nella quotidianità di questo lembo di terra a pochi chilometri da Siena. Per non parlare delle lunghe file di automobili parcheggiate alla rinfusa per raggiungere un agriturismo di Pienza dove è stata girata la scena in cui Massimo Decimo Meridio cammina in mezzo ai Campi Elisi. Scene di ordinaria invasione per chi vive in una qualsiasi città d’arte. Con una differenza: qui l’equilibrio tra ambiente, vivibilità, socialità e attività economiche è ancora più delicato. E allora torniamo alla domanda iniziale, quella che si stanno ponendo varie associazioni con l’obiettivo non solo di resistere ma anche di proporre un’alternativa a un processo che rischia di snaturare un territorio ricco di risorse culturali e ambientali.
«Vogliamo fermare — spiega Antonio Cipriani, titolare insieme alla moglie Valentina Montisci della vineria libreria Vald’O di San Quirico d’Orcia — quella che è a tutti gli effetti un’operazione di colonizzazione. È giusto interrogarci sull’irreversibilità di certe scelte strategiche, su un enorme squilibrio di potere, quello con pochi cittadini che vivono il territorio che in democrazia rappresentano pochi voti e gigantesche spinte a mutare il volto dei luoghi, a farne resort di lusso, centri moda, borghi d’arte, fredde scenografie di pietra con figuranti lavoratori umani».
Da qualche mese è partito un vivace confronto «nel quale — continua Cipriani — stiamo coinvolgendo i vignaioli, i pastori, gli agricoltori e sopratutto i giovani, che non hanno parola e che vengono interpellati solo per fargli ascoltare le sirene di un lavoro povero e dequalificato, senza prospettive di crescita».
A cambiare, si fa notare, deve essere anche la narrazione di questi luoghi condizionata da modelli «improponibili». E il caso di Castiglioncello del Trinoro, frazione di Sarteano, paese interamente trasformato in un albergo di lusso è emblematico in questo senso. «Quando iniziammo a parlare di Parco della Val d’Orcia — racconta lo studioso locale Giorgio Scheggi — avevamo in mente due iniziali priorità: sancire la natura agricola della valle e creare occasioni economiche ecologicamente sostenibili che invertissero la tendenza all’abbandono della campagna e del suo meraviglioso patrimonio immobiliare, allora, fortemente compromesso. Pensavamo, evidentemente non a torto, che una di quelle occasioni poteva essere aprirsi al turismo rurale ma anche di trovare un meccanismo che ancora oggi invochiamo di tutela della coltura del frumento quale elemento costitutivo del paesaggio». E la sfida è ancora aperta…
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