Flavia Perina
Non doveva finire con Silvio Berlusconi la guerra dei trent’anni?» chiede la sua primogenita Marina in una vibrante lettera al “Giornale”. E in quella domanda c’è tutto lo sconforto suo – il diritto alla difesa dei padri è inalienabile – ma pure il nostro, perché sì, ci avevano creduto anche gli italiani all’esaurirsi per cause naturali del corpo a corpo tra politica e giustizia ma qui non si è esaurito niente. Anzi. L’agenda sulla giustizia del berlusconismo è transitata apparentemente senza modifiche dal prima al dopo e non vengono rimpannucciate solo le proposte pratiche ma torna pure il groviglio di sentimenti e furie che le accompagnò nel corso dell’ancient regime. «Accuse deliranti». «Persecuzione». Magistratura «casta intoccabile e soggetto politico». Voglia di «infangare gli avversari, veri o presunti». «Teorema». Una buona metà della lettera di Marina Berlusconi fa eco a parole già ascoltate, e anche le conclusioni – la richiesta alla destra al governo di qualche «passo importante» – non si distaccano dal vecchio copione dell’età berlusconiana.
Persecuzione, fango, teorema, urgenza di correggere. Così si argomentò il primo decreto Biondi con lo stop al carcere per i reati finanziari e contro la Pubblica amministrazione. La depenalizzazione del reato di falso in bilancio. La legge sul legittimo sospetto che introdusse, tra le cause di trasferimento del processo, il sospetto di parzialità del giudice. Il Lodo Schifani, con l’immunità per le cinque più alte cariche dello Stato e il divieto di sottoporle a processo per qualsivoglia reato. L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (queste ultime due poi dichiarate incostituzionali).
In quegli antichi corpo a corpo c’era comunque un quid, una sostanza, e la sostanza era la valanga di inchieste piombate su un Berlusconi all’apice del suo potere politico, economico, mediatico, il leader che, dal palco di Napoli, poteva permettersi di irridere i suoi avversari e fare suo il caustico soprannome che gli era stato attribuito: «Sì, io sono il Caimano». Ma ora? Davvero la storia deve andare avanti allo stesso modo, con altri Caimani e Caimane minori e un processo riformista viziato dagli stessi reciproci attacchi, furie, sospetti?
Si può capire Marina Berlusconi meglio di altri. Lei è la figlia. Difende una memoria intima e personale (oltre all’amico di sempre Marcello Dell’Utri, oggetto dell’inchiesta di Firenze). Si capisce meno la dichiarata volontà del centrodestra di collegare a un passato oggettivamente controverso le riforme dell’oggi, che invece potrebbero essere difese in modo ben più limpido, archiviando una volta per tutte vecchie contese. E invece no, pure nel presentare l’ultima riforma della giustizia – poca cosa, che sul punto dell’abolizione dell’abuso d’ufficio sarà pure modificata in Parlamento – sempre lì si torna. «L’omaggio migliore che potevamo fare a Berlusconi». «Berlusconi sarebbe contento». «Riforma dedicata a Berlusconi». «Spiace che Berlusconi non abbia potuto assistere» (e quest’ultima frase è del ministro Carlo Nordio).
La guerra dei trent’anni, insomma, ammesso che davvero sia ancora in corso, la stanno combattendo ambo le parti. Caimani e anti-Caimani, e infatti la lettera di Marina – che pure si poteva prendere col semplice rispetto dovuto allo sfogo di una figlia amareggiata – per tutta la giornata di ieri è stata tema politico e detonatore di appelli alla pugna dove la parte più intima del discorso, il ricordo di un padre che aveva «orrore per ogni forma di violenza» e del «desiderio di essere amato che fu l’essenza stessa della sua vita» non interessa a nessuno, perché quel che conta è il rullo dei tamburi di guerra che rimbalza di commento in commento.
«Persecuzione», «vigliaccata», «basta teoremi», tantoché alla fine più che un giorno da post-Caimani davvero sembra il Giorno della Marmotta dove ogni cosa e ogni parola si ripetono senza variazioni, senza qualcuno che sappia rompere il circolo vizioso e dire se non per convinzione almeno per stanchezza, per noia di recitare un format sempre uguale peraltro privato del suo principale protagonista: vabbè, andiamo avanti, trent’anni sono sufficienti…