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11 Ottobre 2022La scrittrice, diventata celebre in tutto il mondo per i suoi diari da Wuhan, racconta in un romanzo le persecuzioni dell’era maoista. E a noi il clima cupo di questi anni del Covid
PECHINO
Un labirinto, per cercare di evocare i segreti di una memoria che si voleva cancellare. Presente e passato che si sovrappongono. Una lotta perenne contro quella «rete spessa e ben tirata che avvolgeva l’esercito di demoni continuamente in lotta per liberarsi ». In Come un seme sepolto dal tempo (censurato in Cina quando è apparso nel 2016, edito ora in Italia da Rizzoli), Fang Fang ambienta un formidabile romanzo sullo sfondo della riforma agraria dei comunisti di Mao, nel Sichuan, appena saliti al potere. Un patto di sangue con i contadini, a costo della vita di milioni di proprietari terrieri: i nemici da abbattere in nome della lotta di classe. Lo fa raccontandoci la vita tormentata di Ding Zitao, ripescata mezza morta da un fiume nel 1952. Di Wu, il medico che la salvò e che qualche anno più tardi diventa suo marito. Di Qinglin, il loro figlio, e di quei vecchi quaderni dove, forse, risiede la chiave dell’enigma.
L’autrice divenuta celebre in tutto il mondo per Wuhan. Diari da una città chiusa (Rizzoli) — racconto tra tragedia e speranza della prima città a finire in lockdown, una battaglia per la verità contro la propaganda e le responsabilità del governo, e per questo censurata — racconta come è cambiata la sua vita. E come il Covid sta cambiando i cinesi.
Dalle pagine emerge da una parte la tentazione di dimenticare e dall’altra il dovere di farsi testimoni di un’epoca: di non lasciare che la memoria — dei singoli e dunque collettiva di un popolo — vada perduta. Il controllo della Storia è una questione strategica per il governo. Che cosa voleva raccontare? Cosa rimane oggi della memoria di quegli anni?
«Volevo registrare, con la narrativa, i metodi crudeli utilizzati mezzo secolo fa contro chi viveva nelle campagne. Dopo più di cinquant’anni di movimenti politici, la gente oggi ha quasi dimenticato un evento storico così importante. Perfino gli studiosi hanno scelto di minimizzarlo.Quello che mi ha spinto a scrivere un romanzo sul destino di queste persone è stata una frase pronunciata dalla madre di un mio amico:“Non voglio una sepoltura morbida”. Mi ha ricordato che anche il passare del tempo è una sorta di sepoltura. Anzi, per queste persone che non hanno un posto nellaStoria, è una sepoltura più profonda, senza tracce».
Il tema della memoria ritorna nel libro che l’ha resa famosa in tutto il mondo, i suoi diari da Wuhan. Perché decise di raccontare quello che stava succedendo nella sua città?
«Quando Wuhan è stata messa in unlockdown senza precedenti una rivista cinese mi chiese di registrare che cosa stava accadendo. Il terzo giorno di chiusura, con la gente in preda alla paura e all’ansia, ho iniziato a riversare quello che vedevo e sentivo attorno a me su Weibo (il Twitter cinese, ndr ).Non pensavo che sarebbe diventato un importante documento storico.
Né che avrebbe cambiato il mio destino».
Insulti e minacce in Rete, poi la censura. Come ha vissuto tutto ciò? Si sente al sicuro oggi?
«Ricordo che un maestro di arti marziali aveva invitato le persone delle varie palestre di Wuhan a venire a casa mia a picchiarmi.
Ero impotente: qualsiasi mia intervista o dichiarazione veniva subito censurata. Quando il potere e i bulli da tastiera si mettono assieme per attaccare qualcuno ogni resistenza è inutile: la tua voce viene cancellata.Ma poi mi sono calmata e ci ho pensato su: avevo solamente fatto il mio dovere di scrittrice. Ho combattuto la guerra che dovevo combattere, ho difeso la moralità e la giustizia che dovevo difendere.Anche se ora tutte le mie opere non possono essere pubblicate in Cina che problema c’è?Chi mi può spaventare?
Anche se non scrivo, anche se sono sotto controllo in qualsiasi momento, anche se il mio senso di sicurezza è sempre più basso, la mia vita deve continuare».
Che clima c’è oggi in Cina verso gli intellettuali? Quanto spazio è rimasto per gli scrittori?
«Sono convinta che se scrivessi
Wuhan.Diari da una città chiusa
oggi verrei direttamente arrestata.Due anni e mezzo fa lo spazio per l’opinione pubblica in Rete era molto più rilassato di adesso. Le pressioni della politica hanno trasformato e intimidito innumerevoli persone, tra cui la stragrande maggioranza degli scrittori cinesi. Sono stati addestrati a guardare in quale direzione tirava il vento. Hanno bene in mente cosa devono scrivere e cosa no:sanno che l’obbedienza è l’unica salvezza».
Dopo la comparsa del virus, il tempo sembra essersi fermato a due anni e mezzo fa quando la risposta delle autorità era, come oggi, far scattare estesi lockdown. Abbiamo ancora in mente le immagini che ci sono arrivate da Shanghai e dal resto del Paese: proteste, penuria di cibo, quarantene forzate, tamponi a tappeto, chiusura verso il mondo esterno. Quando pensa che il governo inizierà a rivedere la sua strategia della tolleranza zero? Quando ne uscirà la Cina?
«Non lo so, davvero. Non solo io, ma quasi tutti gli esseri umani con capacità di giudizio non possono dare una risposta su questi comportamenti irrazionali».
Lei vive ancora a Wuhan, come è cambiata la città? E come sono cambiati i suoi abitanti?
«In apparenza, nessuno stravolgimento. Ma è nell’anima delle persone che qualcosa sta cambiando. La pandemia quest’anno non è grave, ma dobbiamo costantemente farei tamponi.Se usciamo di casa, è probabile che si venga bloccati da qualche parte e portati nei centri per la quarantena in qualsiasi momento. Improvvisamente, la vita è incerta. E questa incertezza fa perdere alle persone il senso di sicurezza.Un’insicurezza ormai quotidiana».
Sta lavorando a un nuovo romanzo?
«Un libro che ho già finito doveva essere pubblicato nella primavera del 2020, ma a causa della censura è rimasto “intrappolato” in tipografia.Quest’anno però ho ricominciato a lavorare: sto raccogliendo materiale per un nuovo romanzo. Credo che un giorno le mie opere torneranno a essere pubblicate in Cina. Forse l’anno prossimo, forse no. Chi lo sa.A ogni modo a me resta solo una cosa da fare: continuare a scrivere».