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Milano, la città delle lame dove mai come in questi tempi s’aggredisce con le armi da taglio. Parte prima, ovvero mescolanza di schegge da verbali di polizia e carabinieri per episodi specie del periodo notte/alba nella geografia urbana tra centro e periferie: coltello a serramanico, ferita al braccio destro, banchina del metrò stazione Loreto, ferita al torace, Tso, semaforo lampeggiante, studente liceale incensurato, ordine di espulsione dall’Italia, Tso, persona a terra, nuovo ristorante di cucina tipica, ferita alla testa, palazzo in costruzione, rissa tra dieci persone forse quindici, ferita al petto, ordine di espulsione dall’Italia, «l’aggressore aveva una giacca a vento verde e il cappuccio in testa», studente liceale incensurato, insegna accesa di centro massaggi di colore azzurro, turisti americani scippati, persona a terra, ferita al piede destro, leggera foschia, coltello da cucina, palazzo in costruzione, poliziotto ferito, negozio di lavanderia, ferita al capo, coltello serramanico, persona a terra, nuovo ristorante di cucina tipica, studente liceale incensurato, coltello serramanico, coltello serramanico, coltello serramanico, ferito ragazzo di quattordici anni italiano che vive con la nonna su disposizione del giudice, portone di condominio Liberty graffitato, pugnale, persona a terra, ferita al braccio sinistro, stazione ferroviaria di Rogoredo, Tso, fermato ragazzo di quindici anni nato in Egitto, pugnale, ferita al braccio destro, ferita alla schiena, carabiniere ferito, ordine di espulsione dall’Italia, fermato ragazzo di tredici anni nato in Marocco, ferita al volto, coltello da cucina, coltello serramanico, due mesi di prognosi, fermato ragazzo di quindici anni nato in Tunisia, palazzo in costruzione, ferita alla caviglia destra, studente liceale incensurato, tre macchine della polizia davanti al McDonald’s della stazione Centrale, ultimo domicilio ufficiale in una comunità per minori, nuovo ristorante di cucina tipica, coltello serramanico, pavé luccicante bagnato dall’umidità, ordine di espulsione dall’Italia, kebab aperto h 24, precedenti per porto abusivo di arma e spaccio, vittima derubata degli auricolari, brina sui prati intorno all’Idroscalo, furgone corriere Amazon, Tso, palazzo in costruzione, rissa tra sette persone dopo la discoteca, palazzo in costruzione, scooter buttato a terra, precedenti per rapina, coltello da cucina, venticinque punti di sutura, pullman per l’aeroporto di Orio al Serio, ferita alla spalla sinistra, rissa per lo spaccio di droga, Tso, bar in vendita, ferita al braccio destro, tranci di pizza e piccioni sopra il cestino dell’immondizia affianco ai ping pong messi in strada nelle piazzette colorate, fermato ragazzo di sedici anni nato in Tunisia, portafoglio di pelle svuotato e lasciato in un’aiuola vicino all’università Statale, Tso, borsone giallo da rider abbandonato, ferita alla mano destra, testimoni nessuno, Tso, coltello di quelli multiuso svizzeri, «mi ha colpito una persona sconosciuta», coltello da cucina, coltello tipo sushi, palazzo in costruzione, precedenti di polizia, «non so riferire chi possa essere stato», ferita al piede destro, coltello a serramanico, valigia di colore giallo svuotata e lasciata in un’aiuola di viale Majno, feci di cane sul marciapiede di via Marina, bottiglia di vino in frantumi.
Milano, la città delle lame dove mai come in questi tempi s’aggredisce con le armi da taglio. Parte seconda e ultima, voci di sintesi, analisi e visioni, insomma così è stato detto e si dice: «A inizio degli anni Duemila, le ferite penetranti da arma rappresentavano il due per cento del totale mentre oggi sono il diciotto per cento» (Stefania Cimbanassi, gran capa del Trauma team dell’ospedale Niguarda, una che davvero non dorme mai); «Riscontriamo un utilizzo disinvolto del coltello, devastante nelle mani di chi non riesce a controllare la rabbia e la frustrazione. Procurarselo è facile e portarlo addosso è vissuto come un fatto normale, se non addirittura una moda. Si mitizza il coltellino» (Luca Villa, nuovo procuratore capo della Procura per i minorenni di Milano, salito al vertice in una delle stagioni più complicate per gli inquirenti addetti alla gioventù, in atroce smarrimento con gli adulti incapaci di decriptare); «Voi pensate che qua dentro c’abbiamo soltanto i criminali della ’ndrangheta, invece la maggioranza è fatta da gente che non ci sta con la testa, entrano mezzi svalvolati ed escono più svalvolati di prima, il disagio mentale soprattutto delle persone giovani è spaventoso, sono malati che vanno curati ma non li curano» (una guardia del carcere di San Vittore che vorrebbe cambiar mestiere); «C’è una parola ormai rivoluzionaria, che terrorizza, una parola che nemmeno si pronuncia più: amore. Tutti questi ragazzi non chiedono che amore, hanno un bisogno disperato di amore» (don Gino Rigoldi, già cappellano del carcere minorile Beccaria, figura rara, essenziale); «Mi domandi chi sono questi ragazzi con il coltello in tasca? Vivono alla giornata nel senso che sono convinti di non avere un futuro. Hanno una certa coscienza del rischio, che è quello di finire in prigione se quel coltello lo usi, per una rapina, per far male, per tutte e due le cose, ma se ne fottono perché tanto, dicono, la vita è ora, domani non so nemmeno se ci sarò, e comunque se sì, a far che cosa?» (un educatore delle comunità minorili, uno che davvero sta per strada, che si sporca, che suda, che prende freddo e soffia fuori l’aria dalla bocca); «Sono preoccupato dall’uso dei coltelli. Stiamo osservando una propensione a questo fenomeno come a Londra dove nel 2023 ci sono stati 14 mila accoltellamenti anche in quartieri centrali come Chelsea» (Giuseppe Petronzi, fino a maggio questore di Milano, adesso prefetto a Trento, esperienza prolungata in passato nella gestione dei No Tav, altre esperienze di studio all’estero come in America, persona saggia e di spaziosa cultura, investigatore che disegna orizzonti); «Nel caso di ragazzi che sempre più usano strumenti violenti come i coltelli, e magari provengono anche da ceti sociali ed economici non marginali, penso che ci sia una grossa questione educativa. E mettersi a incolpare i social network è una forma per lavarsi la coscienza» (Matteo Lancini, psicoterapeuta, docente universitario, con le mani nelle problematiche adolescenziali ogni giorno da presidente della Fondazione Minotauro).
L’anno è appena trascorso e ci sono state 96 rapine tra minorenni condotte con le lame; l’anno prima, e quello primo ancora, e poi chissà per quanto ancora si può andar indietro, erano state molto meno. Dunque in media una rapina ogni quattro giorni. Parliamo però dei casi denunciati e acclarati, e concernenti una determinata fascia anagrafica; il sommerso (complessivo) a quanto equivale? Impossibile da registrare, tengono tutti il coltello addosso, una follia collettiva, ci sono studenti che vanno alle medie con il coltello, racconta un carabiniere di turno in pattuglia, gloriose e anonime giornate sfiancanti ma appaganti dentro la commedia umana a far anche da genitore, da psicologo, da professore.
Ma si diceva di Londra: là pensano a kit medici di pronto soccorso da posizionare nelle strade proprio in previsione d’un immediato aiuto ai feriti dagli scontri con le lame; d’altra parte sempre là, le bande giovanili codificate superano le cento unità, vi sono tipicità per nazione/continente di provenienza, vi sono quartieri ormai sorta di quartieri generali delle formazioni criminali, e s’incrociano nella genesi dei piccoli balordi gli irrisolti, ampi e trasversali temi delle seconde/terze generazioni. A Milano, con un’abituale strafottenza oppure sottovalutazione o una significativa incapacità di capire, pare che non esistano il disagio psichico e alcuni scenari critici giocoforza connessi alle migrazioni, nella fisiologia di fenomeni di questo tipo: gli aggressori con armi da taglio sono in abbondanza stranieri, vagabondi, predatori, deliranti, privi di reti assistenziali, sanitarie, affettive. Non è argomento né di destra né di sinistra, né di razzisti né di terzomondisti a prescindere: è la quotidianità di una metropoli, d’un Paese.
Ma perché mai il coltello? Cose che si sanno: dopo le pistole, i coltelli sono le armi più utilizzate nei crimini violenti; il coltello è di facile reperibilità, si può nascondere, è semplice da usare, ferisce lievemente come gravemente, può lasciare danni perenni specie sul volto. E al proposito, cose che invece forse non si sanno: la giurisprudenza complica anziché aiutare, esistono distinzioni nelle sanzioni a seconda delle lame, per esempio coltelli serramanico e a scatto. In aggiunta ecco le continue sentenze della Cassazione con interpretazioni dissimili sul medesimo fatto che rimescolano e creano ulteriore confusione, e possono prevedere anche pene ribassate con le evidenti conseguenze che ne derivano.
Altre schegge da verbali di polizia e carabinieri, immutata la geografia urbana tra centro e periferie: una signora aveva accompagnato la figlia in oratorio, stava tornando verso il cancello quand’era entrato un ragazzino che si era buttato a terra; spruzzava sangue da una gamba, la signora è un medico, botta di fortuna, l’aveva curato e chiamato un’ambulanza; i carabinieri avevano chiesto alla vittima, un adolescente italiano, chi fosse stato a quasi assassinarlo, quello aveva risposto di non averne la minima idea; ci avevano riprovato dopo che gli avevano chiuso la ferita in ospedale, passato il grande spavento magari avrebbe ripreso a ragionare, invece nulla, non c’era stato verso. E quindi il colpevole? Boh.
Dopodiché: la figlia quattordicenne aveva raccontato al papà che un barbone, mentre andava a casa di un’amica, aveva cercato di violentarla, lei stava percorrendo un breve tunnel, ci abitano dei senzatetto, i residenti si sono lamentati ma non è mai venuto nessuno a vedere sicché a un certo punto hanno smesso di lamentarsi, però comunque i barboni non hanno mai dato noie anche perché è stato fatto loro un bel discorsetto e dovrebbero averlo capito; invece quella volta, forse aveva bevuto o si era fatto, forse gli era scoppiato di colpo il cervello, fatto sta che il senzatetto aveva inseguito la ragazzina e le aveva messo una mano addosso, lei si era messa a scappare, aveva raccontato tutto al papà che era andato a farsi giustizia da solo accoltellando il barbone.
Negli episodi di cronaca, ragazzini o adulti che siano gli aggressori, gli affondi sono ripetuti, si portano dietro un carico di rabbia repressa, dalle famiglie dilaniate alle famiglie borghesi, da quelle che aiutano in parrocchia a quelle che occupano le case; c’è perfino una sorta di accanimento contro la vittima, e altresì, come ci spiegano i carabinieri, si registra un’inquietante distanza tra l’obiettivo dell’azione criminale per uno scippo, una rapina, e la furia che accompagna l’accoltellamento stesso. Anche le ferite da pugnale o da incisioni possono causare effetti letali: al tronco encefalico, alla schiena con penetrazione della lama nel midollo spinale, quelle che determinano il taglio di una vena o di un’arteria, quelle che causano una peritonite dopo fendenti nell’area addominale.
Le armi da taglio sono armi ancestrali, accompagnano l’umanità da lontano. Nell’immaginario popolare sono assurte a simbolo della notoria, politicizzata percezione d’insicurezza — venir colpiti a caso mentre si cammina nel proprio quartiere che si reputa tranquillo nella propria città che si pretende sia priva di minaccia da parte del prossimo — con le morti di Mary Ann, Annie, Elisabeth, Catherine, Mary Jane… Le vittime del killer di Whitechapel alias Jack lo squartatore, a Londra, tra il 1881 e il 1891. Mai scoperto. Il dottor Thomas Bond, che la storia inquadra come il primo profiler degli assassini in serie, tracciò le seguenti coordinate: un solitario, eccentrico, vestito rispettabilmente, soggetto a una mania erotico-omicida. Ancora oggi si studiano i casi, si ragiona girando intorno ai sospettati d’allora, tre tipi generici: un chirurgo sadico, un immigrato irato contro la società, un aristocratico pervaso da piaceri demoniaci. La scia sanguinaria s’ambientò nella zona di Spitalfields, nell’East End, sobborgo di disgrazie e disgraziati, stamberghe, prostitute, degrado e miseria.
Una sovrapposizione sociale e antropologica, forse anche criminale, con gli anni Sessanta e Settanta a Milano nel quartiere oggi fighetto di Porta Venezia, sequenza di alberghi destinati al sesso mercenario, a rifugio di predoni, a incontri laidi d’ogni sorta e fine. Non a caso, il luogo del presunto mostro di Milano sul quale il «Corriere della Sera» indaga dal 2020, che seminò morte uccidendo come a Londra donne, per lo più prostitute, con un’arma da taglio: Olimpia, Elisa, Adele Margherita, Salvina… Forse si trattava d’un prete, a leggere un elemento isolato sulla scena del crimine: l’impronta di una scarpa col tacco basso e largo lasciata in una pozza di sangue, una scarpa da curato di paese e quartiere. Dopo uno dei delitti, un sacerdote che figurava nell’agendina segreta di una vittima si lanciò sotto un treno.
Il killer di Whitechapel e il mostro di Milano puntavano, nella loro mente andata, a pulire il mondo dal peccato?
A Porta Venezia le donne vennero massacrate con profondi e multipli fendenti. I referti delle autopsie raccontano di attacchi svolti in posizione frontale, mai un colpo di sorpresa, mai alle spalle. C’erano piccole incisioni nell’area della mandibola e del mento delle donne, tagli che secondo il criminologo Franco Posa, uno dei più seri in Italia, potrebbero essere un marchio del killer, una costante del suo modus operandi. Gli assassini seriali hanno nell’azione delittuosa un marchio, un marchio impresso anche variando numero e segni delle coltellate: somigliano alle caratteristiche comuni in una calligrafia pur modificando forma, inclinazione delle lettere e cambiando perfino mano.
Ma era un’altra Milano. Quella contemporanea è più insidiosa, le lame sono ovunque, in mano a chiunque, forse qualcuno dei prossimi aggressori è già fra di noi.
https://www.corriere.it/la-lettura/