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Dietro il traffico, i cantieri e il clangore dei tram — come per armonizzarli o interpretarli — Milano ha immaginato e suonato altrettanta musica anche fuori dalla Scala. Per raccontarla arriva il bel volume Milano Sound System. 100 anni di suoni all’ombra del Duomo, curato da Luca Crovi e Luca Fassina, per il neonato marchio About Cities, progetto culturale ed editoriale della società di promozione e sviluppo immobiliare EuroMilano che si propone di raccontare la vita urbana con un approccio multidisciplinare. Oltre 300 pagine di interviste, fotografie, testimonianze, racconti, fumetti e mappe sono uno scrigno da aprire per scoprire aneddoti, incontri, luoghi chiave e tornare ad ascoltare note.
Vengono riproposti anche testi introvabili e godibilissimi che ci riportano agli anni Sessanta, come le pagine dal Celentano di Umberto Simonetta, pubblicato da Longanesi nel 1966, che racconta gli inizi della carriera del ragazzo della via Gluck in equilibrio tra agiografia e burla. Hanno un piglio surreale — in linea con la poetica dei soggetti — le parole di Beppe Viola tratte dall’introvabile Cochi & Renato. Preistoria di una coppia nata in un Pozzetto, uscito per Rino Fabbri nel 1976. È qui che Enzo Jannacci appare «poeta, musicista, scienziato, talent scout, karateka, milanista»; ed è sua, in altre pagine, una perla di saggezza sulla scrittura musicale: «Una canzone è più difficile di un libro. In un libro scrivi mille parole, in una canzone devi scriverne quaranta e devono tutte pesare un quintale».
Le canzoni su Milano sono tante e nel volume ne vengono proposte cento, dall’antica Come diruto Milano, passando da O mia bèla Madunina di Giovanni D’Anzi (1934), alla recente Demo nello stereo di Fabri Fibra: «È un juke box ideale e cronologico, non esaustivo; il gioco è che i lettori ne aggiungano altre». Lo dicono i curatori Crovi e Fassina, due Luca che per un anno e mezzo hanno setacciato la storia musicale della città: «Crovi ed io viviamo nella musica milanese da trent’anni — racconta Fassina — e l’adesione al progetto è stata pressoché unanime. Praticamente ogni musicista interpellato ne ha coinvolti altri che hanno condiviso ricordi e aperto archivi. Abbiamo notato uno scambio di stima intergenerazionale, bello, percepibile bene negli interventi dedicati al rap. Grazie a questi suggerimenti, il problema, a un certo punto, è stato dare un confine al libro, perché non volevamo un’enciclopedia». A rimanerne escluso, per un soffio, è un nome fondamentale la cui aura musicale ha dato tanto non solo a Milano: «È il maestro Giuseppe Verdi — spiega Crovi —. La statua a lui dedicata è proprio davanti alla prima casa di riposo per musicisti, in piazza Buonarroti. Fu il primo, giustamente, a pensare che gli artisti anziani avessero diritto a una pensione e a un’assistenza».
Se quella del musicista può essere una carriera, lo si deve anche alle tante istituzioni che ne coltivano l’educazione. A loro sono dedicati diversi interventi — il Conservatorio, la Civica Scuola di Musica, i Civici Corsi di Jazz creati e seguiti da Enrico Intra, il Cpm Music Institute creato dal chitarrista Franco Mussida della Pfm che ha poi portato, con coraggio, la musica come percorso psicoterapeutico a San Vittore. Fuori dalle scuole, la musica milanese cresce nelle strade e nei locali, a partire dai mitici «trani», le osterie, in un legame tra umorismo, canzoni popolari e, talvolta, piccola malavita, che bene illustra Piero Colaprico ricostruendo l’ambiente da cui arrivava la cantante della ligéra (appunto: la piccola malavita) Didi Martinez: «Le osterie erano fucine creative, ricchissime di personaggi che non inseguivano per forza il successo, piuttosto una stramba riconoscibilità tra i nottambuli. La mentalità generale degli osti, dei camerieri, dei performer che non sapevano di essere performer e dei clienti non stava tanto a badare al talento, quanto, e qui citiamo il titolo di un libro di Umberto Simonetta, a Tirar mattina. Si viveva, in quei locali fumosi e casinisti, per la battuta, la risata, il “mordi e fuggi”». Sono scene che negli anni Cinquanta preannunciano la nascita dei locali ben più organizzati: il tempio dei jazzisti Santa Tecla, dietro il Duomo; il Derby in via Monterosa; il Cab 64 in via Santa Sofia. Sul Derby la mitologia è ampia e nota, anche come laboratorio di certa comicità arrivata in tv e al cinema, sul Cab 64 Cochi Ponzoni svela aneddoti rari, come i primi passi di un giovane Franco Battiato arrivato nel 1964 dalla Sicilia per esordire su quel palco: «Era spaesato. Noi lo chiamavamo “Ciòaddire” perché qualunque cosa si dicesse, ad esempio: “Hai mangiato oggi?”; rispondeva: “Ciò a dire?”».
Mentre tanti artisti si muovono con successo sulla scena della musica italiana, uscendo da Milano, la musica straniera riempire cuori e orecchie e si scopre il ruolo centrale del festival dell’isola di Wight, dove in mezzo a 500 mila persone s’incrociano Eugenio Finardi, Alberto Camerini e Fabio Treves arrivati con mezzi di fortuna da Milano. Treves, noto bluesman, è un grande frequentatore di concerti e fotografo amatoriale; sono suoi certi rarissimi scatti dell’unica esibizione di Jimi Hendrix in città, il 23 maggio 1968, al Piper, vicino alla Triennale. Se il concerto del più grande chitarrista rock di sempre rischiò di saltare, sono in tanti gli stranieri che apprezzano Milano come venue e luogo creativo: «Perché è una città — secondo Crovi — che ha una sua musica, ha sempre comunicato con la musica e ha dato spazio anche ad artisti stranieri. Non è un caso che i Depeche Mode abbiano inciso un disco come Violator, che li ha lanciati a livello mondiale, a Milano, negli scomparsi Logic Studios, né che i Muse abbiano registrato alle Officine Meccaniche, gli studi-gioiello di Mauro Pagani sui Navigli, o che per Bruce Springsteen San Siro sia il tempio della musica». Un tempio al centro di discussioni accese per il suo destino, illuminato da un articolo di Oreste Del Buono, apparso sul «Corriere della Sera» il 29 giugno 1980, che va in visita allo stadio il giorno dopo il leggendario concerto di Bob Marley. Lì erano gli sportivi ad essere preoccupati e a chiedersi come fosse ridotto il prato tra gli «inequivocabili mozziconi di spinelli, santini di Bob Marley».
Oltre al tempio, nel libro si ricordano tanti luoghi di culto musicale più piccoli ormai scomparsi: il Rolling Stones al City Square, le Scimmie al Binario Zero… Alla fine delle ricerche per scrivere il libro, per Fassina «Milano è uno strumento e il Leitmotiv della musica milanese è Milano stessa, perché porta i musicisti a suonare e a dare il meglio di sé, il Milano Sound System ha tante anime ed è camaleontico come la città». Un camaleonte che ha bisogno di locali dove esibirsi.
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