Le riposte sono normalmente in ritardo, prevedibili, opportuniste. Dopo anni di silenzio dal mondo giovanile schiacciato nell’indifferenza e nel disprezzo ci chiediamo da dove escano queste ragazze e questi ragazzi che finalmente prendono la parola vedendo collettivi e slogan che si rifanno al comunismo, ci chiediamo anche se sia davvero inevitabile che le tragedie della Storia si ripetano come farse.
Il muro di Berlino si è sbriciolato trentacinque anni fa, corroso dall’insostenibilità di un sistema che aveva fatto di “guerra e prigione” le due parole chiave della sua storia, come ha scritto la premio Nobel russa-bielorussa-ucraina Svetlana Aleksievich. Il risentimento anti americano era il requisito principale per i reclutatori del Kgb alla ricerca di agenti in Occidente. E ritorna oggi come una caricatura fino al sostegno, nemmeno troppo celato, della cricca criminale e miliardaria del Cremlino che solo pochi giorni fa applaudiva servile Vladimir Putin per lo “storico” risultato elettorale e da due anni lo appoggia contro i “nazisti” ucraini.
In Majdan (piazza) di Kiev nel 2014 i ragazzi sventolavano la bandiera blu dell’Unione Europea tanto disprezzata – allora – da Giorgia Meloni e dalla maggioranza del suo governo. Una domanda di libertà che l’Occidente ha esitato a sostenere, la Germania di Angela Merkel per prima perché troppo interessata a difendere la prosperità del paese che si reggeva – anche – sul gas russo concesso dallo zar a prezzi scontati. Perché i contestatori di oggi non hanno manifestato per l’uccisione di Aleskej Navalny? Perché è così difficile riconoscere un eroe liberale in un mondo dove si affermano gli antiliberali orgogliosi di esserlo?
Il 7 ottobre si è compiuta nei kibbutzzim israeliani la più feroce strage antisemita dai tempi dell’Olocausto, un femminicidio di massa, mirato e rivendicato da Hamas, un movimento islamista sostenuto dalla Russia di Putin che domina una società dove – tra l’altro – le donne sono velate e sottomesse. La risposta israeliana sono le stragi e la distruzione di Gaza, la decimazione di un popolo schiacciato dalla vendetta dal governo estremista e religioso di Benjamin Netanyahu, dalla viltà affaristica dei dirigenti di Hamas e dall’indifferenza del resto del mondo arabo. Ci voleva tanto a solidarizzare con le grandi manifestazioni democratiche in Israele contro Netanyahu? E intanto leggere qualche libro, non solo Grossmann, ma anche la giovane letteratura israeliana per capire che quella società è pluralista, contraddittoria ma libera nella ricerca. E invece siamo sempre al riflesso condizionato del cane di Pavlov.
Non guardiamo al dito che indica la luna, ma guardiamo il cielo intero: tutto questo è lo sfondo globale, è lo stato delle cose che sta dietro a quanto sta avvenendo nelle nostre università. Le reazioni come nella chimica sono quelle date dalle componenti in gioco. I membri del senato accademico di Torino non sono certo antisemiti, ma il loro cedimento alla pressione di quella sparuto gruppo di studenti che chiedeva di non sottoscrivere le collaborazioni con centri studi israeliani, ha certamente dato fiato a coloro che negano a Israele il diritto di esistere. Non è il ‘68, né il ‘77. È il 2024, qui e oggi bisogna saltare. Dunque niente manganelli, rispetto della parola di tutti, mettersi in gioco con la propria, uscire dal sonnambulismo e tenere la bussola della libertà di parola, senza la quale c’è Putin o Hamas.