Diritti la spinta della Consulta
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24 Agosto 2024
Come tutelare i “beni comuni” che costituiscono una comunità nazionale. Sapendo distinguere tra i valori costitutivi e i necessari mutamenti. Riforme, biopolitica, diritti. Stralci dell’intervento di Barbera al Meeting
di Augusto Barbera
Il presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera, ha svolto ieri un approfondito intervento al Meeting di Rimini dal titolo “La Costituzione come bene comune”. Partendo dalla distinzione tra “i principi e i valori costituzionali” e le “strutture di governo” destinate “a possibili mutamenti”, Barbera ha offerto subito una illuminante idea riformista del “bene comune” che è la Costituzione, che mentre tutela i “valori” riconosce anche la necessità di possibili mutamenti: “I principi e i valori costituzionali – che della Costituzione rappresentano l’essenza – vanno distinti dalle strutture di governo destinate a possibili mutamenti”, ha detto. “I primi da conservare e difendere, i secondi, se necessario, da adattare o riformare”. Il presidente ha illustrato il “metodo di lavoro della Corte”, sempre indirizzato a raggiungere il “compromesso più ‘alto’” e un “ragionevole bilanciamento fra diritti o valori aventi pari dignità costituzionale” e ha ricordato come recenti decisioni della Corte possano contribuire anche alla “modernizzazione dell’economia italiana”. Ha infine concentrato l’attenzione del suo intervento “su recenti decisioni strettamente legate a temi etici, tra biopolitica e biodiritti”. Di seguito proponiamo alcuni stralci del suo discorso riguardanti questi argomenti.
Corte costituzionale e “beni comuni” I principi costituzionali costituiscono l’“essenza” di un ordinamento giuridico; danno “identità” a una comunità nazionale; la unificano e ne fanno una comunità politica. Bisogna tuttavia evitare di confondere – riprendo il suggestivo tema del Meeting di quest’anno – l’essenza con l’accidens, ciò che connota le proprietà fondamentali di una entità e ciò che invece può variare nel corso del tempo. Per chiarire questo passaggio anticipo quello che intendo dire: i principi e i valori costituzionali – che della Costituzione rappresentano l’essenza – vanno distinti dalle strutture di governo destinate a possibili mutamenti. I primi da conservare e difendere, i secondi, se necessario, da adattare o riformare.
Sono principi che caratterizzano la Costituzione repubblicana e su cui si costruisce il “patriottismo costituzionale” degli italiani: il primato della persona; i doveri e le responsabilità sociali della stessa; il valore e la dignità del lavoro; la libera iniziativa privata; i principali diritti sociali; il principio di eguaglianza e il divieto di discriminazioni per sesso, razza, religione; il ripudio della guerra e la cultura della pace; l’apertura alle organizzazioni internazionali; l’informazione libera e pluralista; la valorizzazione dei partiti e delle altre autonomie sociali.
Venivano così ribaltati i principi su cui si reggeva il precedente regime autoritario, il regime fascista: la persona in funzione dello Stato; vista come mezzo non come fine; la esaltazione del principio gerarchico; la esclusiva funzione familiare della donna; il partito e il sindacato unico; la guerra come “igiene del mondo”; il rifiuto dei vincoli internazionali; le varie e pesanti forme di censura. (…) A salvaguardare questi beni comuni è ancora una volta chiamata a concorrere la Corte costituzionale; e in settori spesso di sensibile rilievo per la modernizzazione sia dell’economia, sia delle relazioni sociali.
Ho usato l’espressione “bene comune” facendo riferimento ai valori costituzionali espressamente previsti dalla nostra Costituzione non ai vaghi principi di ragione o di giustizia su cui una parte della letteratura nordamericana tenta di costruire una via intermedia tra “originalism” e “progressive constitutionalism” (v. A drian Vermeul, Common Good constitutionalism, Polity Press, 2022, p.117 ss. ).
Ricordo, per limitarmi a qualche esempio, la decisione con cui nelle settimane scorse è stata dichiarata la illegittimità costituzionale di quella normativa statale che, sospendendo il rilascio di nuove autorizzazioni per i servizi di autotrasporto non di linea, ha consentito “di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, con grave pregiudizio per i diritti dei cittadini (sentenza n. 137 del 2024).
Decisioni importanti per la modernizzazione dell’economia italiana; ma io aggiungo decisioni non meno importanti per la modernizzazione della società civile segnalando le sentenze (131 del 2022 e 135 del 2023 e ord. 18/2021) con le quali la Corte ha stabilito che il cognome dei figli deve riflettere il tratto identitario costituito dal doppio vincolo genitoriale (come richiesto sia dal principio personalista, e sia dal principio di eguaglianza e di parità fra i coniugi) e non deve essere legato, necessariamente, alla secolare tradizione patronimico-patriarcale del capo famiglia (salvo diversa decisione degli stessi coniugi).
Segnalo altresì alcune decisioni della Corte costituzionale, le quali hanno definito in modo puntuale il ruolo strategico del terzo settore per l’economia e la qualità della vita democratica del nostro Paese. Come specificato in importanti decisioni, la cura dell’interesse pubblico non è monopolio dell’istituzione pubblica ma coinvolge altri paradigmi (in particolare la sentenza n.131 del 2020 ma anche la n. 72/2022 e n. 191 2022). Importanti, al riguardo, le affermazioni nella giurisprudenza della Corte sul “volontariato” che così riassumo “apertura ai bisogni dell’altro che sottolinea la natura relazionale della persona umana”; “apertura che da un senso alla propria esistenza aprendosi ai bisogni dell’altro” (Sentt.72/2022; 191/2022).
E ciò in sintonia con quanto contenuto nel Codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) laddove si prevede la co-programmazione e la co-progettazione in tutte le attività di interesse generale, sia per quanto riguarda la individuazione dei bisogni da soddisfare, sia le modalità da seguire per la realizzazione degli stessi. Potrei continuare su questi temi. Preferisco rinviare alla ottima sintesi di Claudio Cerasa (il Foglio del 5 agosto), il quale sottolinea che le più recenti decisioni della Corte consentono “più concorrenza e meno rendite, più mercato e meno corporativismo”.
Lascio da parte queste ed altre decisioni intendendo concentrare, nel tempo disponibile, l’attenzione su recenti decisioni strettamente legate a temi etici, tra biopolitica e biodiritti.
Bipolarismo etico? Alcune recenti decisioni Materia assai delicata, sia per i contenuti, sia per i parametri costituzionali da utilizzare, non sempre rimasti immobili rispetto alla loro formulazione originaria (basti pensare al concetto di famiglia cui fa riferimento l’art. 29 della Costituzione). Alle consuete bipolarizzazioni politiche del Novecento, fluttuanti fra la destra e la sinistra (cui aggiungere, oggi, quelle indotte dalla crisi climatica, fra ecologisti e produttivisti), si èandato accompagnando l’emergere di un incerto bipolarismo etico.
Da un lato i fautori di un’“etica dei valori”: il valore della vita; il valore della famiglia; l’identità nazionale; la appartenenza ad una confessione religiosa; le appartenenze a comunità, territoriali e culturali; i legami delle tradizioni.
Dall’altro versante i fautori di una “etica dei diritti” (talvolta definiti “nuovi diritti”): le decisioni personali sul fine vita; la piena disponibilità del proprio corpo; la libera espressione della sessualità; l’identità personale; la fluidità di genere; la piena espansione dei diritti di inclusione per immigrati ed emarginati.
Sottolineare che il primo polo caratterizza la “conservazione” e il secondo il “progresso” coglie solo una parte della realtà, trattandosi di temi che fra loro si intrecciano, talvolta anzi sovrapponendosi. E che attraversano comunque sia le formazioni politiche di destra e sia quelle di sinistra (talora per sensibilità politiche e culturali diverse, talora per mero posizionamento politico).
Qualche esempio fra i tanti: tutelare il valore della vita o il diritto del paziente di decidere forme e tempi del proprio congedo dalla stessa? Quale il discrimine?
Riconoscere il valore della famiglia, società “naturale” e/o il diritto di una coppia, anche se dello stesso sesso, di dare vita ad una comunità di affetti?
L’antico Habeas corpus, dal 1215 nel Regno Unito protegge il corpo da coazioni fisiche esterne, ma può anche – come è stato detto – tradursi in un “nuovo Habeas Corpus”, nella piena e libera disponibilità dello stesso da parte di ciascun individuo?
Siamo all’interno di “cleavages” che giungono da oltre Atlantico e percorrono l’Europa e l’Italia (Adornato, in Il Messaggero, 19 giugno 2024; Pallante in La Stampa, 2 agosto 2024). Diverse le ascendenze culturali ma spesso comune è il germe dell’intolleranza (o comunque del conformismo ideologico) sia nel linguaggio woke, sia in quello del politically correct , sia in quello che alimenta la cancel culture.
“I valori costituzionali vanno distinti dalle strutture di governo destinate a possibili mutamenti” “Decisioni importanti per la modernizzazione dell’economia italiana e della società civile” Il suicidio assistito, “un tema in cui si manifesta con toni drammatici la bipolarizzazione” “L’invito della Corte al
Parlamento a riconoscere i diritti dei figli e delle figlie di coppie omosessuali”
A Rimini il presidente della Consulta ha ricordato come recenti decisioni della Corte possano contribuire anche alla “modernizzazione dell’economia italiana” (foto archivio LaPresse)
E si tratta di temi che attraversano anche gli stessi movimenti; leggo in questi giorni ferragostani una discussione all’interno dei movimenti femminili fra letture opposte: l’esposizione e l’utilizzazione del nudo femminile continua ad essere una deleteria “mercificazione” maschilista oppure è ormai segno di “liberazione femminile”?
Mantenendomi in questo terreno richiamo le più significative decisioni degli ultimi mesi, ma devo in anticiposcusarmi per una inevitabile sovrapposizione di temi fra loro così diversi sul piano umano (ed anche emotivo).
Mi riferisco alle recenti decisioni: sul fine vita (con un richiamo a quelle più antiche sulla interruzione della gravidanza); sulla gestazione per altri; sul riconoscimento del terzo sesso; sulla prostituzione come diritto ; sulla affettività dei detenuti. Le cito perché in esse la Corte è riuscita, grazie al nostro ordinamento costituzionale, a sfuggire a una paralizzante bipolarizzazione fra “valori” e “diritti”.
Suicidio assistito Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha affrontato il tema del suicidio assistito (giornalisticamente conosciuto come “caso Cappato”). Un tema in cui si manifesta con toni drammatici la bipolarizzazione etica sopra ricordata.
La Corte è stata chiamata ad operare una sintesi fra posizioni estreme e opposte; la prima: la vita è comunque un valore ed è inviolabile, non disponibile; l’altra, ogni persona ha il diritto di decidere quando e come congedarsi dalla vita.
Nel 2018 di fronte a questioni sollevate da diversi Tribunali sulla legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, che punisce l’aiuto al suicidio, la Corte, tramite una tecnica giurisprudenziale innovativa, aveva deciso di rinviare l’udienza in cui avrebbe discusso e poi deciso la causa per consentire al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa (Ordinanza n. 207 del 2018).
Nell’inerzia del Parlamento la Corte aveva ritenuto conforme a Costituzione la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio, ma solo in presenza di determinate condizioni; tre in particolare: se si tratta di un paziente pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; che sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; che sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (così la sentenza n. 242 del 2019).
Sulla interpretazione dell’espressione “trattamenti di sostegno vitale” erano sorti molti dubbi (che addirittura avevano spinto alcune Regioni ad intervenire) ed è successivamente stata sottoposta una nuova questione alla Corte.
Quest’ultima con la recentissima sentenza del 18 luglio scorso (n. 135 del 2024) cerca di andare al di là del riferimento ai soli trattamenti di sostegno vitale forniti da macchine o congegni elettronici e ha precisato che si può fare comunque riferimento anche a trattamenti compiuti da personale sanitario o da familiari (ad esempio lo svuotamento di vescica o intestino); trattamenti che, se sospesi o rifiutati, determinano la morte del paziente.
Nessun cedimento ad inammissibili pratiche eutanasiche. Nella decisione viene affermato che “ogni vita è portatrice di una inalienabile dignità, indipendentemente dalle concrete condizioni in cui essa si svolga” e a tal proposito si cita la Sentenza (n. 50 del 2022) con cui la Corte aveva non ammesso il referendum abrogativo che avrebbe di fatto reso legittimi possibili forme di eutanasia; viene invece riconosciuto – lo dico in sintesi – non un diritto a darsi la morte ma, se mai, solo un diritto a lasciarsi morire, rifiutando ulteriori terapie (come consentito dall’art.32 della Costituzione). Solo in taluni limitatissimi casi, sarebbe possibile richiedere un aiuto ad agevolare la propria decisione (un aiuto a morire e non solo “nel morire”, come nel ricorso alle cure palliative).
Si può ovviamente essere d’accordo o meno sulla soluzione che la Corte costituzionale ha dovuto adottare: chi guarda ai diritti critica la Sentenza e parla di un insufficiente passo in avanti verso una piena libertà di scelta, chi guarda alla vita come valore denuncia una incrinatura dello stesso, in direzione eutanasica.
La Corte torna comunque con la decisione a ribadire la necessità di un intervento del Parlamento. Trovo in proposito interessante una recentissima pubblicazione di Monsignor Vincenzo Paglia, dell’Accademia pontificia della vita (v. La Stampa del 8 agosto), laddove sembra superare posizioni che in passato marcavano la presenza di limiti “non negoziabili” e mostra invece interesse ad un dialogo volto a individuare uno spazio perché il Parlamento sia in grado di fare le scelte migliori, che tengano conto delle “diverse sensibilità, culture, religioni”. (…) Maternità surrogata A tale prospettiva si affianca la appena menzionata sentenza n. 33 del 2021 ove si legge l’ulteriore considerazione che “gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate”, spinte ad “affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita”. Detto in altri termini: una lesione della dignità della persona.
Peraltro la ricerca scientifica ha messo in evidenza che l’utero “non è un semplice incubatore… bensì un raffinato strumento di comunicazione che costruisce un legame indissolubile fra gestante e feto che contribuisce a costituire la struttura psicoaffettiva del nuovo individuo… l’imprinting materno fetale” (E. Porcu in “La Repubblica”, 2 giugno 2015).
La “gestazione per altri” resta per la Corte italiana un reato, come previsto dall’art. 12 della legge 40 del 2004, senza distinguere (opportunamente a mio avviso) la c.d. surrogazione solidale da quella a pagamento.
Che poi questo reato debba o meno essere considerato reato universale è scelta del tutto politica, tema peraltro in queste settimane in discussione in Parlamento e sulla quale non posso interferire.
Ma altrettanto deciso è stato l’invito della Corte al Parlamento a riconoscere i diritti dei bambini e delle bambine, figli e figlie di coppie omosessuali (sentenza n. 230 del 2020; e soprattutto Sentenze n. 32 del e n.33 del 2021), secondo scelte che spetta al legislatore realizzare (o la riscrittura delle condizioni per il riconoscimento o una nuova tipologia delle adozioni o altro ancora).
L’identità personale A queste recenti decisioni ne aggiungo altre che hanno approfondito i diritti legati alle identità personali, anche sotto il profilo dell’ordinamento dell’anagrafe (ho già detto prima della decisione relativa al cognome).
Erano stati sollevati dubbi nei confronti dell’art. 1 della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui non prevede il riconoscimento anagrafico di un genere “non binario” (né maschile, né femminile).
L’eccezione di legittimità è stata dichiarata inammissibile -non si è quindi entrati nel merito – in quanto l’eventuale introduzione di un terzo genere nello stato civile postulerebbe necessariamente un “intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria” (sentenza n. 143 del 2024) Nulla di più! Ho letto invece sia editoriali allarmati sia dichiarazioni soddisfatte. Mi sento solo di precisare che non vi è nella sentenza il tentativo di spingere a legiferare per porre un riparo ad un vulnus ma solo il rinvio al Parlamento, “primo interprete della sensibilità sociale”, alla sua discrezionalità politica, qualora volesse farsi carico di questo “significativo disagio individuale e sociale” alla luce degli articoli 3 e 32 della Costituzione.