Si assiste ad una riproduzione della tragica vicenda novecentesca, destinata a finire addirittura peggio di allora. Quando, un secolo fa, arrivarono proprio loro, “gli americani”: questo con ogni probabilità non succederà più.
Ma l’errore che si rischia di commettere, oggi, è quello di considerare la democrazia nordamericana come responsabile massima, quasi unica, della galoppante, dilagante, sconfinata, deriva. Specie se non si concentra il pericolo tutto o quasi in quel maledetto bottone sempre lì, orrenda tentazione a portata di mano, forse a giorni, di un soggetto riluttante e refrattario, estraneo a qualsiasi confidenza con le regole democratiche. Nei confronti del quale soggetto esprime plateale trasporto uno, sempre il solito, tra i leader della nostra maggioranza: un trasporto in nulla derivante dal doveroso pensiero delle corrette e obbligate relazioni tra governi. Pura empatia, tra simili: che sorregge il sollievo che noi di quei bottoni non ne avremo mai da manipolare, vivaddio. Inutile pensare di cavarcela puntando il dito verso Trump e il trumpismo, un pensiero “democratico” che disconosce altri poteri al di fuori di sé; che nega preventiva validità a qualsivoglia esito elettorale sfavorevole, fino a prefigurare note modalità di reazione violenta, del genere colpo di Stato. Pensiero che considera i giudici supremi– da dotare, con la nomina, della democraticamente insensata grazia di un mandato eterno-, in pratica propri collaboratori o dipendenti (anche se qualcosa di non proprio distante si profila, inquietante almeno nelle intenzioni, nella strategia istituzionale in atto dal nostro governo per la sostituzione delle progressive vacanze nella consulta). Ma le sbandate nostrane dalla retta via segnata dalla nostra Costituzione, sono svariate e in costante produzione: acquisito, per gentile trasmissione dei governi precedenti, il controllo pressoché esclusivo delle prerogative del parlamento, in entrambe le Camere, si tende ad estendere l’accentramento governativo dei poteri con una crescente, plateale, sfacciata insofferenza per qualsiasi forma di autonomia del potere giudiziario.
Quasi, o meglio senza quasi, provocatoria: ad esibire e riprodurre – smentendo una pretesa adesione costituzionale nella forma ingenua di un giuramento rivelatosi privo di contenuto – il marchio originario di una inconciliabile distanza dalle linee guida dettate dai Costituenti.
Linee guida dirette ad esorcizzare un potere prepotente, un prepotere che, fagocitando gli altri, ricordasse o si inserisse nella scia tragica di un uomo solo al governo delle istituzioni. A questa scelta anticostituzionale e soprattutto antidemocratica, che si differenzia dal deragliamento antiparlamentare dei predecessori, dovuto ad un eccesso di confidente sicurezza in un generale partecipazione costituzionale, proprio per una esibizione della propria distanza dall’alveo costituzionale, va aggiunto una crescente presa di possesso delle sorgenti informative. Dalla proprie, o reputate tali, testate di sostegno, un pacchetto monolitico addirittura impugnato da un editore monopolista e, niente meno, parlamentare di maggioranza, e alla ricerca incessante di nuovo potere editoriale; alle mani messe con inaudita e non dissimulata protervia sul governo e sulla produzione del servizio pubblico radiotelevisivo. Fino al una acre vertenza con gli eredi della famiglia dell’automobile, giustificata da un giudizio sulla qualità imprenditoriale, ma inquietante sotto l’altro profilo di impegno editoriale, il poco che resta di opposizione all’esecutivo. Assieme ad un unico, piccolo ma sagace contropotere televisivo, non allineato con il monocolore governativo, e per questo additato come nemico della nazione. In spregio deliberato ad ogni decente separazione ed equilibrio tra i poteri. —
Montesquieu. tn@gmail. com