La vicenda umana e politica che si sta svolgendo intorno al letto di ospedale dove Silvio Berlusconi lotta contro l’età e la malattia, l’attenzione mondiale che la notizia del ricovero sta suscitando, dimostrano che il Cavaliere — nel bene e nel male — riesce ancora a catturare il centro della scena. Come dicono gli anglosassoni, è larger than life,più grande della vita, eccessivo, fuori scala. Ma c’è un ambito, al di là della mitologia, dove la crisi della leadership berlusconiana (una crisi che è iniziata prima della malattia e che prescinde da essa) è destinata a impattare con più forza.
Ed è esattamente il perimetro che lambisce il governo, la collocazione internazionale del destra-centro a trazione Fratelli d’Italia e il destino personale di Giorgia Meloni.
Tre lati di un triangolo che si tengono insieme e sui quali la parabola del Cavaliere può influire direttamente.
È vero che il peso di Forza Italia nelle scelte di governo in questi mesi si è andato sempre più affievolendo. Dopo aver fallito la spallata a Ignazio La Russa, eletto presidente del Senato con i voti di qualche senatore compiacente dell’opposizione, il partito di Berlusconi è rimasto avviluppato in una oscura lotta di potere interna, più intrigo di corte che scontro di linee politiche alla luce del sole, alla fine della quale è apparsa vincente la fazione cosiddetta filo-governativa. In altre parole, già prima dell’aggravamento del fondatore, Forza Italia è finita in mano a coloro che ritengono debba essere un docile alleato di Meloni piuttosto che uno scomodo controcanto alla destra. Scelte legittime, ma che inevitabilmente consegnano il destino del partito a una progressiva dissolvenza, che la malattia di Berlusconi ora può soltanto accelerare. Per Forza Italia il futuro sembra già scritto. Una parte, quella più restia a prendere ordini da Fratelli d’Italia, se ne andrà con la Lega. Un’altra parte aderirà direttamente al partito del premier, come già hanno fatto molti ex forzisti, da Lucio Malan a Marcello Pera. Probabilmente altri resisteranno intorno a un simbolo che — modello Udc — bene o male attirerà sempre il voto di qualche nostalgico, ma parliamo comunque della prospettiva di un cespuglio.
Perché gli elettori, nel frattempo, si saranno collocati altrove.
Se questo è il futuro prevedibile per la creatura del Cavaliere, il crepuscolo di Berlusconi interpella anche la premier e la pone di fronte a una sfida destinata potenzialmente a cambiare il corso politico di Fratelli d’Italia, perché rimette al centro il tema della rappresentanza dei moderati. Nel venir meno di Forza Italia, cade infatti anche la finzione del centro-destra con il trattino e si presenta agli italiani, ma anche ai partner europei, un governo di destra-destra. Senza più loschermo dei moderati, senza la pretesa (una finzione se si vuole, ma non per questo meno efficace) di Berlusconi di “garantire” per la destra in Europa e con il Ppe, di esserne il Lord Protettore, sta ora a Meloni decidere cosa fare. Il tempo è insomma maturo perché la ragazza della Garbatella decida di fare un passo verso la trasformazione di un partito post-fascista in qualche cosa di diverso e di più grande. Non solo un accidente della storia, una vampata di consenso elettorale destinata prima o poi a spegnersi, ma qualcosa di duraturo. Che è quello che fece in Spagna Manuel Fraga con il Partido popular, sorto sulle ceneri del franchismo e portato nel Ppe. Si apre insomma per la coalizione di centrodestra un periodo di effervescenza, come un tavolo a tre gambe cui sta venendo meno uno degli appoggi. Meloni, se riesce ad alzare lo sguardo dall’ordinaria amministrazione del governo, può avere l’ambizione di condurre in porto un’operazione politica di definitivo affrancamento del suo partito dalla piccola ridotta nostalgica per farne il nuovo contenitore del centrodestra. Che è quanto aveva provato a fare Gianfranco Fini, prima che Berlusconi decidesse di schiacciarlo come un usurpatore. Stavolta però sarebbe la destra ad avere le chiavi di tutto il condominio. Certo, a quel punto si porrebbe in maniera molto più drammatica il problema delle radici culturali di un tale contenitore. Che dovrebbe necessariamente lasciare in cantina tutto l’armamentario anti-antifascista per ri-orientare i suoi valori con la bussola della Costituzione.