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Quello che ha composto Renzo Paris prima con Miss Rosselli (uscito nel 2020) e adesso con Madame Betti è un memorabile dittico di ritratti femminili, . Ognuna a modo suo, Amelia Rosselli e Laura Betti hanno impresso il sigillo incandescente della loro originalità su tutto quello che facevano, tanto che definirle rispettivamente una «grande poetessa» e una «grande attrice» suona sì come un giusto riconoscimento, ma generico e inadeguato quando si tratta di render conto della loro unicità di esseri umani in perenne dissidio con la vita. «Mi sembravano», confessa Paris, «due donne scese a Roma da un altro pianeta», provenienti da un «mondo buio, aggressivo, elettrico», che suscita nel loro amico uno stato di perenne apprensione.
Questo è un primo aspetto rilevante della prosa autobiografica di Paris: la lunga consuetudine con queste donne eccezionali, che hanno sicuramente plasmato il suo carattere, non ha mai eliminato una componente di disagio, un senso di radicale inadeguatezza. È qualcosa che riguarda l’essere maschio, l’essere più giovane, e ancora più in profondo il fatto di godere, tutto sommato, di un patto migliore con la realtà: tutte cose che, com’è fin troppo noto, possono generare un senso di colpevolezza nei confronti di persone che possiamo ritenere più infelici, ma anche più autentiche di noi.
A ciò si aggiunga il fatto queste donne in tutti i sensi irripetibili trascorrevano il loro tempo in un perenne stato di emergenza, trascinando fatalmente il prossimo sulle montagne russe del loro carattere. Ebbene, il bravo scrittore è proprio colui che è sempre capace di trasformare questi limiti evidenti, capaci di deformare ogni testimonianza oggettiva, in altrettanti vantaggi cognitivi. La letteratura è una forma di sapere insostituibile proprio perché il comprendere e il non comprendere possiedono lo stesso valore, come l’ottusità e l’intelligenza, l’onestà e la malafede.
Nell’ultimo capitolo di Madame Betti, Paris ci racconta di scrivere l’ultima pagina del libro sulla sua grande amica la mattina del 29 dicembre 2023, che è il giorno del suo ottantesimo compleanno. Ma con questa informazione non intende affatto suggerirci di aver raggiunto un illusorio punto archimedico dal quale guardare al passato esercitando qualche forma di saggezza. Laura è morta da vent’anni, e ancora prima, all’inizio degli anni Novanta, a causa di un articolo scritto da Paris sull’«Espresso» (un confronto tra Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini) si era verificata una rottura irrimediabile. Ma la storia evoca tempi ancora più remoti, quasi fiabeschi nella loro inconsistenza di ricordi che si accavallano nelle mente.
Non è possibile aggirare la data intorno alla quale ruota come su un perno tragico tutta l’esistenza di Laura Betti. Il massacro di Pasolini all’Idroscalo di Ostia, il 2 novembre del 1975, fu uno spartiacque decisivo per un’intera generazione di artisti e intellettuali, ma a Paris interessa più che altro raccontare il dramma di un «amore impossibile», come più volte lo definisce, che fece di Laura la vedova furente e inconsolabile di un uomo che certamente le voleva bene, ma che non sarebbe mai stato in grado di ricambiare quell’amore assoluto, È nei mesi successivi all’omicidio che Paris inizia a frequentare quotidianamente Laura Betti, impegnata in un poderoso lavoro di documentazione, alla caccia dei mandanti del delitto.
Si trattò forse di un’aspirazione chimerica, in un Paese dove i misteri, anziché pervenire a uno scioglimento, continuano a marcire nell’ombra generando i loro effetti nefasti anche a distanza di decenni. Ma Paris ha ragioni da vendere nell’affermare che se Pasolini è ancora oggi un artista così conosciuto e studiato in tutto il mondo, molto si deve all’infaticabile culto della memoria che la sua «vedova» ha continuato a tributargli fino all’ultimo sospiro. È una storia nota nel suo versante pubblico; ma a Paris interessano i suoi risvolti umani più difficili da raccontare, a partire dalla pulsione auto-distruttiva che per Laura rappresenta il lato oscuro del lutto. Nel trattamento narrativo dei suoi ricordi, Paris rivela, ancora più che nel libro dedicato ad Amelia Rosselli, una delicatezza d’animo e un senso del dettaglio significativo da vero poeta.
La memoria è un campo minato di reticenze, interdizioni e rimorsi, ma il passo di questo libro incantevole è leggero senza mai diventare furbo. In maniera singolare ma convincente, la storia è piena di bambole: desiderate, smontate, smarrite e regalate come fossero il ricettacolo di tutto ciò che nella vita non ha trovato un compimento. Sono oggetti di eccezionale potenza simbolica, testimoni di desideri e smarrimenti e proiezioni inconfessabili. E la stessa protagonista del racconto ci appare come una prepotente e rumorosa bambola rotta, troppo fragile per resistere intatta all’urto dell’amore e della morte. Ripescandola nel pozzo del passato, Paris non la giudica e non la compatisce: quella che dedica a Laura Betti è una specie di ballata in prosa intrisa di ironia e malinconia, capace finalmente di renderle giustizia.
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