Mette da parte in via definitiva le illusioni della destra al governo, la manovra di bilancio italiana. Anche quest’anno evita di sfasciare i conti pubblici, ma evidenzia che non ci sono soldi abbastanza per tutti coloro che si vorrebbe rappresentare: tra i «ceti medi operosi» sono blanditi quelli a reddito di lavoro autonomo, tartassati quelli a stipendio. Pochi centesimi vanno alle pensioni minime, altro che «destra sociale». Quanto ai proventi del concordato fiscale, ancora ipotetici, è già in corso una battaglia per spartirli tra diverse categorie di riferimento: la Lega che vorrebbe premiare ancora chi fin qui è stato favorito, Forza Italia che preferirebbe compensare chi non ha avuto.
Gli Stati Uniti, con una economia che va benissimo, si possono permettere una campagna elettorale demagogica, senza curarsi del possibile sfascio che realizzare certe promesse (soprattutto quelle di Donald Trump) causerebbe. L’Europa purtroppo non sta bene, e la lotta politica minaccia, pur senza cambi di governo imminenti, di peggiorarne le condizioni. Per far marciare le aziende europee, ci vorrebbe un maggior numero di lavoratori qualificati, e si fa a gara nel limitare l’afflusso di immigrati; oppure, in alcuni Paesi, come ora in Francia, si insiste per mandare a riposo prima i connazionali che lavorano. Avremmo bisogno di aziende più grandi e robuste, ma le si aiuta a restare piccole, in Italia soprattutto. Non si investe su ciò che fa futuro: o meglio, gli investimenti è bene che li decidano i privati, ma le condizioni per realizzarli spettano allo Stato: l’istruzione, prima di tutto, poi la sanità e le infrastrutture materiali. In Germania il nuovo aeroporto della capitale è entrato in funzione con 11 anni di ritardo; le linee ferroviarie ad alta velocità sono poche e si guastano spesso quanto le nostre.