Franco Battiato – L’ombra della luce
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6 Agosto 2022L’anniversario Il 6 agosto di 100 anni fa la nascita a Santa Fiora: alle radici dell’«Uomo planetario» che dal villaggio maremmano di minatori, eretici e anarchici si è immerso nel villaggio globale
Dai, Ernesto, torna a letto, è ancora presto per alzarsi, cosa stai guardando dalla finestra?, lo rimproverava la mamma. Ernesto si ributtava sotto le lenzuola con il suo segreto. Che cosa Ernesto Balducci guardasse lo ha rivelato soltanto da grande a Luciano Martini in Il cerchio che si chiude , Marietti, 1986: «La stanza in cui dormivo da piccolo aveva una finestra che dava su un dirupo (la casa è ancora lì, appollaiata sulle mura medievali) oltre il quale si alzava una breve cornice di poggi. Ai lati del dirupo, la lunga sagoma di un antico convento di Clarisse. Di notte, a più riprese, la campanella chiamava le monache a «mattinar lo sposo». Di tanto in tanto, mi capitava di scendere dal letto, al suono della campanella, per osservare nel buio accendersi una dopo l’altra le minuscole finestre delle celle e poi spegnersi».
Erano le suore che si svegliavano di notte per pregare lo spettacolo notturno da cui era attratto il bambino Ernesto, nel piccolo borgo di Santa Fiora, alle pendici dell’Amiata, dove è nato da famiglia poverissima, il babbo minatore, il 6 agosto del 1922, mentre il fascismo stava preparando la marcia di Roma del 27 ottobre. «Ora mi spiego il fascino di quello spettacolo notturno, che mi godevo da solo, quasi furtivamente. Era come se mi affacciassi all’altro versante della vita, dove il tempo ha ritmi diversi dal nostro, è come un tempo inutile, è il tempo dell’Essere, il tempo che gira su se stesso, col passo di danza, e non si cura del nostro, che è il tempo dell’esistere. Potrei dire che io, da quella finestra, non mi sono mai mosso», ha raccontato Balducci.
E oggi a Santa Fiora, poco più di 2.600 abitanti, si celebra il centenario della nascita del padre scolopio, riandando appunto «alle radici di una storia», la sua. Andrea Cecconi e Severino Saccardi, i due custodi della memoria balducciana, il primo presidente della fondazione (è appena uscita per San Paolo la biografia del padre scolopio) e il secondo direttore di Testimonianze , sono concordi nel sottolineare che la vicenda biografica di Balducci «non si capisce appieno senza fare riferimento alla sua terra di origine povera, dove però non mancava mai l’allegria e dove non è mai morta la speranza».
Saccardi aggiunge che a Santa Fiora vi è una singolare sovrapposizione tra il paese dei vivi e quello dei morti. Lì, nel cimitero quasi monumentale, dove c’è la tomba di padre Balducci, è possibile ricostruire anche il pantheon delle radici balducciane. Le tombe dei minatori. Quelli di Niccioleta, uccisi nell’eccidio nazifascista del 13 giugno 1944, memoria ricorrente negli scritti di Balducci. La tomba poi di David Lazzaretti, predicatore visionario, profeta eretico, inviso dalla Chiesa e dallo Stato, che finì ucciso mentre le sue gesta di «Cristo dell’Amiata», come è stato ribattezzato, hanno sicuramente influenzato lo scolopio. Infine la tomba del fabbro Manfredi, un anarchico, un gran bestemmiatore, che al gabinetto aveva appesa la scritta: «Saranno grandi i papi, saran potenti i re, ma quando qui si seggono, sono tutti come me». Ernesto a dodici anni andò nella sua bottega a imparare il mestiere, ma dopo sei mesi decise di entrare in seminario. Chissà come avrebbe reagito il mangiapreti Manfredi. Andò bene invece, Manfredi lo salutò con una manata sulle spalle: «Bada Ernesto, non ti fare rovinare dai preti».
Balducci entra dai padri scolopi, un ordine religioso dedito soprattutto all’insegnamento e, ordinato sacerdote a soli 22 anni, inizia subito ad insegnare alle Scuole Pie Fiorentine di via Cavour. Negli anni Cinquanta si avvicina a Giorgio La Pira con il quale intesse un rapporto di collaborazione e amicizia che gli costerà l’esilio a Frascati e quando Paolo VI lo riporterà a Firenze, nel 1964, viene destinato alla Badia di San Domenico, diocesi di Fiesole anche per non urtare Ermenegildo Florit, arcivescovo di Firenze, che lo aveva esiliato. Dalla Badia padre Balducci conduce le sua battaglie che lo rendono scomodo. Si schiera ad esempio a favore dell’obiezione di coscienza e finisce sotto processo. Così quando Ernesto tornò a Santa Fiora a pregare sulla tomba del babbo Luigi, un minatore che si recava a lavorare in miniera a piedi, tre ore di cammino ogni giorno, ad un certo punto sentì una mano posarsi sulle spalle, si voltò e, sorpresa, era Manfredi ormai vecchio che lo abbracciò forte e gli disse: «Bravo Ernesto, i preti non ci sono riusciti a rovinarti».
E in queste parole del fabbro Manfredi c’è come il riconoscimento di «un cerchio che si chiude», nel senso che certifica la coerenza del Balducci intellettuale, teologo e prete ai valori delle sue radici. Come lui stesso sottolinea quando racconta che dalla finestra della sua stanza di infanzia «non si è mai mosso». Un rimaner fermo che, avverte Saccardi, non va scambiata per nostalgia quasi regressiva per il piccolo mondo antico di Santa Fiora. «Tutt’altro. Ernesto ha accettato la sfida della modernità e il suo villaggio maremmano si è immerso nel villaggio globale».
Infine nel vangelo anarchico di Manfredi possiamo rintracciare anche il tempo maturo di Balducci, forse la sua eredità più feconda e innovativa. Là dove Manfredi con rudezza popolare rinviene nel gabinetto un luogo di eguaglianza, ad esempio tra un re e un fabbro, padre Ernesto, nell’Uomo planetari o, edito da Giunti nel 1985, una delle sue opere più importanti, respinge qualsiasi distinzione. Persino quella di cristiano. Scrive: «Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo».
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