Gianteresio Vattimo, morto ieri a 87 anni, era nato nel cuore della Torino popolare, in Borgo San Paolo. Mamma Rosa, originaria della val Susa, faceva la sarta. Il papà Raffaele era poliziotto, di Cetraro, Calabria, morto di polmonite quando lui aveva 16 mesi. Scoppiata la guerra, la mamma lo ha portato in Calabria dai nonni. Gianni si vantava di aver imparato perfettamente il calabrese. Era biondissimo e dunque “laggiù” lo chiamavano “cozzabianca”. Tornato a Torino nel ’46, venendo da “laggiù”, lo chiamavano “terrone”. La sua vita è stata anche per questo un riscatto dai molti pregiudizi del perbenismo dominante. Ricordava di essere stato un “ragazzo solitario”, un adolescente che dopo la scuola passava le sue giornate chiuso in casa a leggere Joyce e i romanzi di Jack London, finché due signore siciliane hanno convinto mamma Rosa a spingerlo all’oratorio perché si facesse degli amici. Al San Filippo Neri di via Maria Vittoria, ha incontrato monsignor Pietro Caramello, studioso di San Tommaso, che considerava il suo “grande padre spirituale”. Qui Gianni ha imparato a giocare a pallone, ma soprattutto è diventato un “fervido aspirante” dell’Azione Cattolica dove ha incontrato Umberto Eco, che aveva quattro anni di più e frequentava Filosofia all’università. «Ero un piccolo santo, andavo a messa tutte le mattine». Gianni era ancora al liceo, al classico Gioberti. «Studiavo molto, ero il primo della classe». Tra i professori, il grande latinista Luciano Perelli.
Superata la maturità, nel 1954, spinto da monsignor Caramello, si iscrive anche lui a Filosofia perché non c’era Teologia. Tra i grandi “baroni” di Palazzo Campana, Gianni ricordava Augusto Guzzo, un crociano, “super decano”. Ma il suo mentore è stato soprattutto Luigi Pareyson con il quale si è laureato con una tesi su Aristotele, sul concetto di “fare”. Per avventura, sempre con Pareyson, si era appena laureato Umberto Eco, con una tesi su San Tommaso d’Aquino.
Gianni e Umberto erano dunque destinati a incontrarsi. E fu così, alla Rai di Torino, allora importantissimo centro di produzione. I due insieme a Furio Colombo, vinto un concorso per presentatori televisivi, allora attività quasi pionieristica, sono diventati autori del primo settimanale di approfondimento. La trasmissione si chiamava Orizzonti, era rivolta ai giovani, e andava in onda il sabato pomeriggio. «In una Rai dominata dall’amministratore delegato Filiberto Guala, cattolico integralista, avevamo carta bianca su tutto».
Laureato, Vattimo vince la prestigiosa borsa di studio Humboldt e va ad Heidelbeg, dal grande filosofo Hans Georg Gadamer, allievo di Heidegger, la sua “ossessione” che aveva conosciuto attraverso Nietzsche. Essere e tempo del grande e discusso filosofo tedesco era l’opera che lo aveva “incantato di più”. Di quel periodo ricordava un incontro con Heidegger, che abitava sopra un’osteria alle porte della città: «Gli piacevano i postacci. Ero emozionato e impacciato. Venendoci incontro, Heidegger è inciampato su uno scalino. Ho pensato che avrei assistito alla morte del filosofo. E invece no, si è rialzato senza scomporsi».
Di Luigi Pareyson, carismatico maestro per generazioni di studenti di filosofia, è stato giovanissimo assistente insieme a Giuseppe Riconda. Nel 1964 Vattimo diventa “incaricato” e nel ’69 professore ordinario di Estetica.
Filosofo, cattolico e omosessuale. «Non nascondevo niente, ma non lo dicevo». Nel 1976, il coming out, indotto da Angelo Pezzana che aveva da poco fondato il Fuori. Annunciando che il movimento omosessuale avrebbe presentato candidati nelle liste del partito Radicale, Pezzana fece anche il nome di Vattimo. Erano gli anni in cui gli omosessuali vivevano una condizione di clandestinità, incontri furtivi nei cinematografi o nei bagni pubblici. Vattimo ha raccontato di aver appreso della candidatura sul giornale: «Ho temuto di essere etichettato come omosessuale e non come filosofo. Ma poco dopo fui eletto preside di facoltà: evidentemente i colleghi non volevano apparire conformisti».
Raccontava di aver tentato di darsi una vita da “normale” arrivando fin sulle soglie del matrimonio con Gianna Recchi, figlia di una grandissima famiglia di costruttori torinesi e anche lei laureata in filosofia: «Ma suo padre disse di no».
Gianni Vattimo è stato un brillante polemista ed editorialista de La Stampa. Il “pensiero debole” è stato uno slogan passe-partout comunicativo e divulgativo negli anni 70-80. La filosofia dell’interpretazione, ovvero la possibilità che non ci sia una sola verità, era diventata opinione diffusa. L’Antologia del pensiero debole pubblicata da Feltrinelli nell’82 e firmata con Pier Aldo Rovatti ha avuto un certo successo mediatico e molte polemiche filosofiche: «La razionalità universale sta con i dominanti, il pensiero debole sta con i deboli».
Politicamente Gianni Vattimo è stato un’inclassificabile anima inquieta della sinistra. Sempre in polemica con Ds e Pd, fu uno dei primi a chiedere da eurodeputato Ds la “rottamazione di D’Alema”. Affascinato dalla sinistra sudamericana, Fidel Castro e, fino alla caricatura, del venezuelano Chavez.
La sua vita sentimentale è stata costellata di dolori. Il compagno Giampiero Cavaglià, è stato uno dei primi morti di Aids nel ’91. Un altro suo compagno, Sergio Mamino, è morto di cancro ai polmoni nel 2003.
Dal 2010 Vattimo ha vissuto con Simone Caminada, oggi quarantenne, originario del Brasile, pochi mesi fa condannato a due anni per circonvenzione di incapace, a seguito di una denuncia della geriatra che l’aveva in cura. Il filosofo ha sempre difeso con ostinazione Simone che avrebbe voluto sposare in nozze civili. Ma non ha potuto.