La proliferazione di accordi ha prodotto una riduzione media degli stipendi La proposta di 9 euro dell’opposizione copre molti settori
ROMA — Nel 2005 i contratti collettivi di lavoro depositati al Cnel non arrivavano a 300. Adesso sono 966: non tutti applicati, ma di 832 c’è traccia negli archivi Inps. Una proliferazione che non è un segno di sana concorrenza e tanto meno di corsa al rialzo dei salari: al contrario, il 72% dei contratti copre meno di 500 lavoratori. Si tratta di accordi marginali, a volte persino aziendali, che stabiliscono salari bassi e condizioni svantaggiose rispetto a quelli firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Vengono definiti contratti “pirata”, ma questo non ne ferma la crescita. E nel frattempo quelli firmati da Cgil, Cisl e Uil, che nel 2011 erano oltre la metà, nel 2022 superano di poco il 20% del totale dei contratti. Risultato: mentre negli altri Paesi i salari reali aumentano, in Italia scendono: l’Ocse calcola che tra il 1990 e il 2020 i salari medi annui siano diminuiti del 2,9% a fronte di un aumento che supera il 30% in Francia e Germania. Risultadifficile sostenere, come fa il governo, che l’introduzione del salario minimo non apporterebbe alcun miglioramento, dal momento che da noi la contrattazione collettiva copre oltre l’80% dei lavoratori e quindi soddisfa la condizione prevista dalla direttiva Ue per non introdurre per legge una soglia salariale.
Il dumping contrattuale non è una questione marginale, che riguarda pochi lavoratori. In Italia, ha spiegato il giuslavorista Marco Barbieri alla commissione Lavoro della Camera, «risultano 4.578.535 lavoratori e lavoratrici che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora, fra cui più del 90% dei lavoratori domestici, il 35,1% di chi lavora in agricoltura, e il 26,2% dei dipendenti delle imprese private». E inoltre «guadagnano meno di 9 euro il 38% delle persone con meno di 35 anni e il 26% delle lavoratrici ». Una situazione che non migliorerebbe troppo neanche se si eliminassero per legge tutti i contratti non stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative: tra i contratti con i salari più bassi c’è infatti anche quello della vigilanza, stipulato da Cgil, Cisl e Uil. E c’è inoltre una giungla di lavoratori ibridi, né autonomi né dipendenti, accumunati da paghe orarie bassissime: «Io lavoro a cottimo, ed è un po’ complicato stabilire quanto guadagno l’ora – dice Andrea Pratovecchi, 24 anni, studente universitario e lavoratore part-time da quando, due anni fa, è andato via di casa – ma credo che, anche a lavorare 12 ore al giorno, non si vada oltre i 4-5 euro l’ora. E si viene trattati come bestie. Dal punto di vista salariale va meglio solo a chi ha un contratto da dipendente, come quello di Just Eat». La proposta di legge messa a punto da Pd, M5S, Azione, Sinistra Italiana , Europa Verde e +Europa prevede anche per lavoratori come i rider (autonomi e parasubordinati)una soglia minima di 9 euro, ma è realistico? «Certo, e avrebbe un impatto positivo. – assicura Andrea Borghesi, segretario generale Nidil, il sindacato Cgil che si occupa dei lavoratori atipici – Ci sono lavoratori nei call center che guadagnano tra i 6 e i 7 euro l’ora quando va bene». Proprio questa argomentazione, però, viene usata da chi è contrario al salario minimo per legge: il timore che un salario di 9 euro possa spingere diverse aziende verso la chiusura è stato espresso nel corso delle audizioni parlamentari anche dal presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto (FdI). «Non si può fare impresa contro il lavoro, altrimenti la spirale dei salari bassi non si fermerà più», obietta Borghesi. «Nel Regno Unito il salario minimo è in vigore da 20 anni e ha portato a ridurre le disuguaglianze salariali senza ridurre l’occupazione », ha spiegato l’economista Tito Boeri nel corso della sua audizione in Commissione Lavoro, sottolineando come sia migliorata soprattutto la condizione delle lavoratrici donne.