Il Poldi Pezzoli di Milano riunisce per la prima volta il Polittico agostiniano del maestro rinascimentale che dal XVI secolo fu smembrato e venduto
di
Antonio Rocca
Avvolta in un manto cremisi broccato d’oro, la Vergine si inchina al figlio. Il clima, di festa e maestoso, è corroborato dalle ali colorate degli angeli e dai gradini del trono, in porfido rosso e verde, che sono un connubio di regalità e gioia.
Forse il merito principale della mostra Piero della Francesca. Il polittico agostiniano riunito ( visibile al Museo Poldi Pezzoli di Milano sino al 24 giugno) è stato l’aver sciolto l’enigma della pala centrale: era un’Incoronazione della Vergine. La ricerca congiunta di Machtelt Brüggen Israëls e Nathaniel Silver si è avvalsa di una esaustiva campagna diagnostica, resa possibile dalla Fondazione Bracco. Una sinergia tra critica e tecnologia, che ha condotto a rilevanti acquisizioni su significato, tecnica e datazione dell’opera. Ne daremo conto, ma prima si deve rendere merito al capolavoro diplomatico di Alessandra Quarto. Attorno al San Nicola da Tolentino, che aveva in casa, la direttrice del Poldi Pezzoli ha riunito le opere superstiti del polittico disperso nel XVI secolo.
L’impatto con i quattro santi del registro maggiore è quasi violento, e fa riaffiorare alla memoria l’iscrizione Convenerunt in unum, letta da Cavalcaselle nella Flagellazione urbinate. Sono convenute a Milano le opere disseminate tra Lisbona, New York, Londra e Washington.
Italo Rota e lo studio Carlo Ratti Associati hanno scartato l’ipotesi di una giunzione dei frammenti rimasti, inutile negarci che ne abbiamo perduti più di venti. L’accostamento avrebbe esaltato le differenti vicende conservative, e poi ci sono le cornici, inamovibili. Cornici perlopiù ottocentesche, testimonianza del periodo in cui si riscopriva Pieroe si cominciava a farne mercato.
L’allestimento muove da un preciso punto di vista prospettico. Disposti in due coppie scalate, i pannelli maggiori restituiscono il sentimento di un insieme organico, poi si lasciano ammirare nella loro specificità. Riecheggiando la ripartizione tra cornu Evangelii ecornu epistolae, le tavolette del registro inferiore sono state suddivise tra la parete sinistra, con Santa Monica e Sant’Apollonia, e la parete destra, con la
Crocifissione e ilSan Leonardo.
Perduto il polittico possiamo rimembrare un’unità smarrita e godere, per un istante, di un impossibile ricordo. È comunque un dono per gli amanti di Piero, legato a quelle tavole fin da quando era il garzone di Antonio di Anghiari. Antonio avrebbe dovuto dipingere quella imponente macchina d’altare, ma si fece sfuggire la commissione. La carpenteria inutilizzata finì nelle mani degli agostiniani che, nel 1454, la affidarono a Piero. Il pittore era allora un quarantenne pieno di impegni, negoziando riuscì a ottenere otto anni per completare il lavoro, se ne prese quasi il doppio. Intanto quella struttura gotica invecchiava e, alla fine degli anni Sessanta, era diventata obsoleta. Il maestro, che si apprestava a realizzare laPala Brera, non poteva accettarne la frammentarietà e quindi tolse le partizioni tra i santi, rovinando la preparazione gessosa: fu una fortuna. Laddove conservò la preparazione originale, nei riquadri provenienti da pilastri e predella, la crettatura è stata infatti estremamente aggressiva.
Le analisi condotte sui quattro santi hanno individuato nel gesso delle tracce di carbone, un elemento caratteristico della prassi del maestro, e hanno dimostrato che il legante è olio, spostando la datazione a ridosso del pagamento (1469). Infatti solo nella piena maturità l’artista di Sansepolcro acquisì padronanza di una tecnica che consentiva fluidità, trasparenza e luminosità. Erano qualità necessarie per rendere dettagli impareggiabi-li: il pastorale dell’Agostino di Lisbona è accennato con due linee di bianco e altre due, minute, che corrono parallele a suggerire la profondità del cristallo.
Alcuni risultati sono stati ottenuti perché Piero lavorava per strati sovrapposti, pertanto abrasioni e ridipinture non hanno cancellato l’impianto originario. Preme sottolineare che la tecnica era strumento di una poetica: della Francesca componeva a partire da enti definiti e doveva quindi realizzare la figura per intero, anche a prescindere dal risultato finale. Dipinse ilSan Giovanni Evangelista della Frick Collection e poi gli sovrappose un angolo di gradino, dipinse il serpente del San Michele Arcangelo della National Gallery e poi lo coprì con il brando.
Il visibile è conseguenza dell’invisibile, di qui proviene la solidità metafisica di cieli che non appartengono ad alcuna ora specifica. Il piviale di Agostino è decorato con scene della vita di Cristo, sono momenti conseguenti eppure sono contemporanei. Nelle Confessioni il vescovo di Ippona illustra un’idea del tempo che è fatta propria da Piero: gli uomini percepiscono nel divenire un disegno eterno. Nel dialogo interiore la filosofia sfocia nella teologia, si procede verso l’evocazione del mistero.
E a Milano si avanza tra i santi, disposti come attori a teatro, in direzione di un’assenza. Abbiamo perduto l’Incoronazione della Vergine,è vero, ma finalmente possiamo immaginarla.