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Qualcuno ricorderà una ballata di Fabrizio De André della fine degli anni Sessanta, intitolata Girotondo, composta sull’aria di una nota filastrocca infantile. La ballata incominciava con la domanda “se verrà la guerra, chi ci salverà?”. Questo interrogativo è decisamente di attualità, e quindi è utile soffermarcisi un po’ sopra, esaminando prima la probabilità che si verifichi la condizione (cioè se la guerra verrà davvero), poi, in caso (purtroppo) affermativo, domandandoci quali possano essere le possibili vie di salvezza.
Le probabilità che l’attuale guerra russo-ucraina si trasformi in un conflitto che, anche se non mondiale, coinvolga almeno tutta l’Europa, sono parecchie. Il presidente francese Macron, qualche settimana fa, ha suggerito che i Paesi della Nato potrebbero intervenire direttamente in Ucraina, e queste affermazioni hanno suscitato in genere reazioni negative tra molti politici di tali Paesi, come, in Italia, quella di Matteo Salvini. Non ho alcuna simpatia per Macron e per la sua politica, e spero proprio che le sue previsioni siano sbagliate; tuttavia, il presidente francese si è sempre dimostrato tutt’altro che stupido (a partire da quando riuscì a costruirsi in pochi mesi un partito che lo portò alla vittoria nelle elezioni del 2017), nonché osservatore attento dei fatti internazionali. Inoltre, come molti altri leader francesi, primo tra tutti De Gaulle, si impegna a fondo per dare al suo Paese quel prestigio internazionale di cui godeva fino a un secolo fa, e che, a partire dalla Seconda guerra mondiale e dalla decolonizzazione (guerre di Indocina, di Suez e in Algeria), si è drasticamente ridotto. Quindi, a nostro parere, le sue dichiarazioni hanno lo scopo di presentare la Francia come il Paese guida della coalizione europea in funzione anti-russa, ruolo del resto favorito dal fatto che è l’unico dell’Unione a disporre di armi nucleari.
Macron si basa, dal punto di vista militare sull’analisi della situazione attuale, e da quello diplomatico sul fallimento dei precedenti tentativi di trovare una soluzione negoziata al conflitto. Come si sapeva da tempo, e come ormai comincia a essere ammesso, sia pure tra molte reticenze, anche da molti media “benpensanti”, soprattutto dopo un articolo in merito pubblicato su “Foreign Affairs” del 16 aprile scorso (vedi qui), tra il marzo e l’aprile del 2022, ci furono diversi contatti tra la Russia e l’Ucraina per arrivare a una tale soluzione; non è detto che questi contatti avrebbero necessariamente avuto un esito positivo, ma comunque furono boicottati da Stati Uniti e Gran Bretagna, che indussero Zelensky a interromperli. Quello era certamente il momento più propizio per arrivare, se non a una pace, almeno a un cessate il fuoco. Come abbiamo già scritto su “terzogiornale” (vedi qui), Putin aveva subito un grosso smacco, credendo di poter arrivare a Kiev in pochi giorni e sostituire il legittimo governo ucraino con un governo fantoccio; da parte sua, Zelensky sarebbe stato probabilmente soddisfatto di avere una garanzia internazionale (da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia) dell’inviolabilità dell’indipendenza ucraina, in cambio di una larga autonomia al Donbass, dell’accantonamento provvisorio della “questione Crimea” e, soprattutto, della rinuncia ad aderire alla Nato.
La situazione attuale è molto diversa: Putin sta vincendo, ed è certamente legittimo dubitare della sincerità delle sue ultime dichiarazioni, che sembrerebbero proporre un accordo simile a quello che poteva esser stipulato due anni fa. Chi può infatti assicurare all’Ucraina che, approfittando della situazione sul campo, Putin non ritorni al vecchio progetto di installare a Kiev un governo filorusso? Ma è molto improbabile che ci sia voglia di accordo anche dall’altra parte: perché Stati Uniti e Gran Bretagna dovrebbero accettare ora una soluzione analoga a quella che avevano boicottato due anni fa? Equivarrebbe ad ammettere apertamente il fallimento della loro strategia.
Veniamo ora alla domanda che si poneva la filastrocca di De André: c’è qualcuno che ci può salvare dalla guerra, convenzionale o, ancora peggio, nucleare? Sembra che si possa escludere il presidente ucraino Zelensky, per le pressioni dei gruppi ucraini più oltranzisti e la sudditanza completa ed effettiva alle decisioni americane e britanniche, a cui c’è da aggiungere la motivata diffidenza nei confronti delle apparenti proposte di pace da parte di Putin, di cui si diceva poco fa. Riguardo agli Stati Uniti, non c’è molto da illudersi neppure da una possibile, se non probabile, vittoria di Trump, per il motivo su cui ci siamo già soffermati in un altro articolo (vedi qui): quello che interessa al tycoon americano è tenere gli Stati Uniti distanti dalla guerra, mantenendo però i benefici economici che ne stanno traendo, dalla vendita di armi alla sostituzione del gas russo con quello di provenienza americana.
Quanto all’Unione europea, finora si è totalmente appiattita sulle posizioni americane e britanniche, e, proseguendo su questa linea, assumerà tra poco il ruolo attualmente svolto dalla sola Ucraina, cioè quello di combattere in prima persona la “guerra per procura” con la Russia. Questo è appunto l’esito previsto da Macron, il quale cerca di sfruttare la situazione che si verrebbe così a creare per trarne il massimo profitto per la Francia, come si è detto (che poi questo profitto sia reale è tutt’altro che indiscutibile, ma questo è un altro discorso).
C’è una possibilità di invertire totalmente questa rotta, cioè di fare in modo che l’Unione, invece che predisporsi sempre più alla guerra, si faccia promotrice di un negoziato? Allo stato attuale, questa possibilità sembra molto remota. Occorre comunque, in occasione delle prossime elezioni europee, sostenere le forze politiche autenticamente pacifiste. Come si sa, il parlamento europeo è dotato di ben pochi poteri reali: dunque, anche se per ipotesi queste formazioni pacifiste dovessero ottenere la maggioranza, non è affatto sicuro che questo risultato potrebbe produrre l’inversione di rotta auspicata. Soprattutto, un’ipotesi del genere è così improbabile da doversi escludere a priori. Le elezioni europee hanno però un effetto importante, perché costituiscono una sorta di sondaggio di massa. Un risultato non maggioritario, ma comunque significativo, delle formazioni decisamente ed esplicitamente pacifiste in uno o più Paesi può contribuire a modificare gli atteggiamenti dei rispettivi governi.
Quali sono queste formazioni, in Italia? Escluse, naturalmente, Azione e la lista Stati Uniti d’Europa, che è pacifista quanto il Paese al cui nome si ispira, decisamente ed esplicitamente pacifista non si può definire il Pd, a dispetto delle candidature di Cecilia Strada e Marco Tarquinio, figure scelte proprio per il loro esplicito impegno a favore della pace, ma che difficilmente possono controbilanciare il peso che, all’interno del partito, hanno personaggi come Lorenzo Guerini e altri. Inoltre, la candidatura di Tarquinio, date le sue note posizioni antiabortiste, può spostare il voto di alcuni elettori del Pd verso liste come quella calendiana o quella di Renzi-Bonino.
Rimangono quindi tre formazioni, il cui impegno contro la guerra è netto: l’Alleanza verdi-sinistra, il Movimento 5 Stelle e la lista “Pace, terra e dignità” promossa da Michele Santoro. Purtroppo, è molto dubbio che tutte e tre riescano a superare la soglia di sbarramento, cioè il 4%; c’è il rischio che molti voti pacifisti vadano dispersi. Avevamo già espresso la perplessità sull’operazione tentata da Santoro (vedi qui), certamente apprezzabile in sé, ma che rischia di essere la causa principale di questa dispersione, che ridurrebbe soprattutto le possibilità di superamento della soglia da parte di verdi-sinistra. Ancora una volta, le forze che avrebbero dovuto unirsi hanno marciato divise.
Luigi Meneghello, a proposito dei rapporti tra le varie formazioni di sinistra nell’Italia dell’immediato dopoguerra, scriveva che “l’animosità reciproca era inversamente proporzionale alla vicinanza ideologica” (la citazione è a memoria, non letterale, ma la sua sostanza è questa). La situazione non è molto cambiata, quasi ottant’anni dopo. Non si tratta di scaricare tutta la responsabilità sulle spalle di Santoro: la sua lista, tra l’altro, contiene nomi importanti e abbastanza noti, come Raniero La Valle e Piergiorgio Odifreddi, che possono attrarre un certo numero di voti, del mondo cattolico progressista il primo, e di quello laico il secondo. L’Alleanza verdi-sinistra o i 5 Stelle non potevano trovare un posto all’uno o all’altro nelle loro liste? In ogni caso, chi è convinto della necessità di favorire un esito negoziale della guerra non può che scegliere una di queste tre formazioni.