Le guerre hanno conseguenze non solamente sui campi di battaglia ma anche dietro di essi. Nel caso della guerra russa all’Ucraina, la principale implicazione è la trasformazione di quest’ultima in una Sparta, una società nazionale organizzata per sostenere la guerra. Mentre in Europa si discute come aiutare l’Ucraina a difendersi dalla Russia, in Ucraina si prepara il Paese alla guerra permanente. Quali sono le conseguenze della guerra permanente, a Kiev ma anche in Europa?
Cominciamo da Kiev. Secondo diversi osservatori (da ultimo Nataliya Gumenyk su Foreign Affairs), il punto di svolta è stato il dibattito parlamentare che ha condotto alla legge del 16 aprile scorso. Quest’ultima ha creato un nuovo sistema di reclutamento militare e più generalmente un nuovo sistema di difesa. Le forze armate, hanno sostenuto gli esponenti del governo, debbono prepararsi per combattere i russi per anni, non solo per mesi. Per questo motivo, esse hanno bisogno di soldati, almeno 150.000 nuove reclute ogni anno, per sostituire quelli da troppo tempo in servizio.
di Sergio Fabbrini
L’aiuto esterno (americano ed europeo) è fondamentale, ma gli ucraini debbono garantire la mobilitazione periodica dei 10,5 milioni di loro cittadini tra i 19 e i 59 anni che hanno finora fatto il servizio militare, così come debbono costruirsi una capacità di produzione industriale per la difesa che riduca la loro dipendenza dagli alleati. L’Ucraina era giunta al 2014 senza un proprio sistema di difesa. Quando i russi si presero la Crimea, avevano poco più di 5.000 soldati pronti per combattere. Otto anni dopo, quei soldati erano diventati 300.000, di cui molti volontari. Oggi sono circa un milione su una popolazione di circa 40 milioni. Con la nuova legge, il servizio militare è obbligatorio a partire dai 18 anni, ma sono esclusi coloro che (entro l’età di 27 anni) studiano all’università o si specializzano a un dottorato. L’età media, oggi, di un soldato ucraino è di 40 anni e si può essere mobilitati in guerra fino all’età di 60 anni. Non sono mancati tentativi di corruzione. Le corti ucraine hanno perseguito 1.247 persone per aver evitato illecitamente il servizio militare, di cui 60 sono stati condannati alla reclusione. Il problema non riguarda però la mancanza di personale. Secondo le stime di organizzazioni indipendenti, vi sono ancora 5 milioni di ucraini (700.000 tra l’età di 18 e 25 anni) che potrebbero essere utilizzati nel servizio militare, oltre a donne senza figli, molte delle quali già coinvolte nelle attività militari o para-militari. Il problema riguarda piuttosto la disponibilità della società ucraina a farsi militarizzare per rispondere a una guerra permanente. La militarizzazione richiede pratiche di controllo verticale e di segretezza poco o punto congeniali con le esigenze della democrazia. Inoltre, una società, anche se militarizzata, deve poter disporre di un’economia capace di produrre abbastanza ricchezza per sostenere i costi della militarizzazione, altrimenti gli aiuti economici che si ricevono dagli alleati verranno assorbiti dalle esigenze di mantenere la macchina militare. La legge definisce i parametri perché ciò avvenga. Tuttavia, conciliare Sparta con la democrazia non sarà semplice.
Andiamo ora in Europa. Qui, non solo il concetto di guerra permanente è impensabile, ma lo è anche quello di guerra. L’Europa è un’Atene che teme di diventare Sparta. Dopo più di due anni di guerra, il suo sistema di difesa a due livelli è rimasto immutato. Il primo livello, rappresentato dalla Nato, continua a dipendere dalle idiosincrasie di Washington D.C. La sicurezza dell’Europa è appesa agli “stati d’animo” dei presidenti americani e delle maggioranze del Congresso. Tant’è che le elezioni americane del prossimo novembre potrebbero avere un impatto maggiore su questa parte piuttosto che sull’altra parte dell’oceano, con Donald Trump che svuota dall’interno la Nato senza scioglierla. Il secondo livello, rappresentato dalle difese nazionali, continua ad avere caratteristiche altamente asimmetriche tra i vari stati membri dell’Unione europea (Ue). Se una parte di queste difese sono integrate nella Nato, un’altra parte è gestita gelosamente dai singoli stati membri (a cominciare dalla Francia). Oppure, quelle difese, sono gestite con disagio, come è il caso della Germania di Olaf Scholz. Secondo Judy Dempsey (su Carnegie Europe), il governo tedesco non ha ancora investito un euro dei 100 miliardi del famoso pacchetto straordinario per la difesa, né ha speso in difesa il 2% del Pil come previsto dagli accordi Nato. Per Scholz, la difesa europea «si chiama Biden» (come ha dichiarato). Per di più, le opinioni pubbliche nazionali, pur riconoscendo che la difesa è la loro principale preoccupazione, manifestano una stanchezza crescente verso la guerra. Quest’ultima, non solamente la guerra permanente, è fuori dai loro orizzonti. Atene continua a sperare che non sia necessario conciliare la democrazia con la guerra. Intanto, quest’ultima continua.
Insomma, la guerra sta cambiando l’Ucraina, ma non l’Ue. L’élite ucraina ha compreso che la guerra sarà permanente, che non si risolverà sul campo di battaglia, che richiederà una mobilitazione sociale. L’élite europea, invece, continua a non prepararsi per affrontare la guerra, tanto meno una guerra permanente, prigioniera com’è di una visione irenica della storia, Atene era dalla parte giusta della storia, ma non è bastato a salvarla.