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La Commissione informata a ridosso dell’annuncio di Meloni. «Aspettiamo i dettagli, ma non è un caso analogo a Gb-Ruanda» Focus di Bruxelles su extraterritorialità, rimpatri e garanzie umanitarie nei centri. Sullo sfondo l’«esternalizzazione dell’asilo»
Bruxelles
«Aspettiamo i dettagli». La Commissione Europea è molto prudente sul fronte dell’accordo siglato dall’Italia con l’Albania per l’accoglienza dei migranti salvati in mare. Perché qui siamo su un terreno giuridico molto complicato, e visto da Bruxelles si può almeno dire che la premier Giorgia Meloni si è mossa con accortezza giuridica. Molto più di quanto abbia fatto un anno fa la Danimarca e pochi giorni fa l’Austria sposando il «modello Ruanda» inventato dal Regno Unito, chiaramente criticato dalla Commissione. Perché in quel caso si tratta di deportare in massa richie-denti asilo nel Paese africano, delegando a questo la gestione completa, mentre l’accordo Roma-Tirana prevede una presa in carico, sia pure extraterritoriale, da parte dell’Italia. «Dobbiamo capire prima di poter andare nel dettaglio – commenta Anitta Hipper, portavoce della Commissione Europea sul dossier migrazione – ma, dalle prime informazioni che vediamo, il caso italiano è diverso». Certo, Bruxelles vuole sapere di più, «siamo in contatto con le autorità italiane – aggiunge Hipper –, abbiamo chiesto informazioni dettagliate». La portavoce spiega comunque che Roma ha informato la Commissione «prima dell’annuncio». Fonti comunitarie precisano però che l’informazione è arrivata «a ridosso» dell’annuncio stesso. Il confronto con il Ruanda non è irrilevante per la Commissione. Certo, ci sono analogie: l’«esternalizzazione», e cioè in qualche modo la delega a un Paese terzo
della gestione dei migranti irregolari. Solo che, lo dicevamo, le modalità previste per il Paese africano da Regno Unito, Danimarca e ora l’Austria hanno una differenza sostanziale con l’accordo italo-albanese. Il quale, a quanto si capisce, prevede una giurisdizione italiana all’insegna dell’extraterritorialità. In sostanza è come un consolato: se qualcuno chiede asilo al consolato italiano, per dire, in Colombia o in Congo, lo fa su «territorio italiano». Sarebbe in sostanza lo stesso per centri di accoglienza per migranti salvati in acque italiani e portati in questi centri in territorio albanese.
La questione è importante: secondo il diritto Ue, se un migrante viene salvato in acque nazionali di uno Stato Ue, è poi quest’ultimo responsabile per la procedura d’asilo o di rimpatrio. « In termini di legge sull’asilo dell’Ue – spiega Hipper – le richieste sono fatte sui territori degli Stati membri, che siano al confine o in acque territoriali ». Da un punto di vista strettamente giuridico, se davvero i centri d’accoglienza in Albania saranno zone extraterritoriali italiane, insomma di fatto «territorio italiano», allora la normativa comunitaria sarebbe rispettata. Ecco l’accortezza, per non dire scaltrezza, giuridica di Palazzo Chigi, ed ecco la prudenza della Commissione. « Il punto – spiega una fonte Ue – è capire come sia possibile creare questa extraterritorialità in Albania ». Altro punto a favore di Roma, in confronto al Ruanda, sono aspetti legati al Paese: primo, è uno Stato limitrofo, e non a migliaia di chilometri. «Mandare richiedenti asilo a 6.000 km di distanza – aveva commentato via Twitter (oggi X) nell’aprile 2022 la commissaria agli Interni Ylva Johansson circa il piano di Londra – ed esternalizzare i processi di asilo non è una politica migratoria umana e dignitosa ». Secondo punto, l’Albania è in Europa, e soprattutto è candidata all’adesione all’Ue, con una normativa nazionale in progressiva armonizzazione con quella dell’Unione; inoltre, a differenza del Paese africano, recepisce la Convenzione europea dei diritti umani. Infine, al contrario del piano britannico (e danese e austriaco), l’accordo riguarda solo e soltanto i migranti salvati in mare, non già sul territorio nazionale.
Certo, gli interrogativi giuridici rimangono e sono tanti. Ad esempio, da chiarire chi si occuperà dei rimpatri dal suolo all’ìabanese, o che cosa succede se un migrante abbandona i centri di accoglienza. O ancora se questi ultimi saranno in effetti «chiusi », di fatto dunque centri di detenzione (vietata dalle norme Ue oltre gli stretti tempi tecnici per la valutazione di una domanda d’asilo). «Gli Stati membri – avverte ancora la portavoce – hanno facoltà di adottare misure a livello di legge nazionale per la presentazione di domanda d’asilo da parte di Paesi terzi, ma questo deve essere fatto nel pieno rispetto della normativa Ue sull’asilo».
Sullo sfondo, il crescente interesse di vari Stati Ue per l’esternalizzazione dell’asilo, tema di cui discutono i leader Ue dal 2018, e sempre più gettonato come dimostrano gli esempi di Danimarca, Austria e, sia pure in modo diverso, l’Italia. Anche in Germania l’opposizione, in particolare i cristianodemocratici, chiede a gran voce di trovare un modo per gestire le richieste d’asilo verso Stati Ue al di fuori dell’Unione. Con un grande punto interrogativo sui diritti fondamentali e l’applicazione della Convenzione di Ginevra.