
SPETTATORI PER UNA SETTIMANA
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LIKE APOCALITTICI
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di Pierluigi Piccini
Il governo ha deciso di impugnare la legge della Regione Toscana sul fine vita. Una scelta che colpisce non solo un provvedimento normativo, ma la dignità delle persone e la libertà delle coscienze. È un atto che tradisce chi soffre e chiede, con consapevolezza e senza clamore, di porre fine a una condizione di dolore irreversibile.
La legge toscana non invade competenze altrui né introduce nuovi diritti. Applica una sentenza della Corte costituzionale che da anni ha indicato in quali casi l’aiuto al suicidio non è punibile. Lo fa stabilendo regole chiare e tempi certi per evitare che chi ha diritto a una scelta venga lasciato solo, in attesa o, peggio, nell’angoscia dell’abbandono.
Il Parlamento, invece, resta immobile. La politica nazionale si rifugia nell’ambiguità, preferendo l’inazione al confronto. E quando una Regione agisce con responsabilità, il governo interviene per bloccarla, inchinandosi a pressioni ideologiche e sacrificando la tutela concreta delle persone.
Sono credente, e proprio per questo credo nella libertà. Nessuno deve essere obbligato a scegliere la morte assistita. Ma negare la possibilità a chi, con lucidità, la ritiene l’unica via per sottrarsi a una sofferenza insopportabile è una forma di potere che non mi appartiene, né come uomo né come cittadino.
La fede non è comando, lo Stato non è morale di parte. La libertà di coscienza non può essere subordinata al calcolo politico. Il fine vita è una questione di umanità e giustizia. Chi nega una legge nazionale, chi blocca quelle regionali, condanna i malati terminali all’incertezza, e le famiglie all’impotenza.
In un Paese civile, il rispetto per la vita passa anche dal rispetto per chi sceglie di lasciarla con dignità.