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17 Ottobre 2023PACE E CORAGGIO DI SCELTE NUOVE
17 Ottobre 2023il commento
Lo Stato islamico colpisce il cuore dell’Europa, e poco importa che non abbia una capitale di riferimento o dei confini e dei leader chiaramente individuabili: la chiamata è arrivata e le infinite cellule dormienti hanno cominciato a rispondere. Prima in Francia, ieri a Bruxelles, dove Abdeslam Jilani – come si è dichiarato in un video trasmesso sui social l’attentatore che ha colpito in centro almeno due cittadini svedesi – ha detto di aver ucciso per vendicare i musulmani. «Dio è grande» è il sinistro richiamo che ha accomunato i due attentati, e anche se i profili degli assassini risulteranno molto diversi dalle analisi degli inquirenti, la matrice è unica, e unico il messaggio lanciato alle nostre comunità: non dormirete più sonni tranquilli.
La verità però è che non avremmo comunque potuto farlo, se solo avessimo preferito guardare in faccia la realtà anziché limitarci a un’occhiata veloce prima di ritirarci nel sicuro delle nostre case. E in poche città come a Bruxelles questa sensazione è così tangibile: i quartieri ad alta densità di residenti con retroterra migratorio sono a pochi passi dal centro, e le strade del benessere sono separate da quelle dell’esclusione da qualche centinaio di metri. Non ci sono ghetti isolati, il sentimento della mancata integrazione si coglie negli sguardi di chi cammina fianco a fianco. L’assimilazione, che pure nella capitale belga conta tanti esempi virtuosi, è come una coperta piena di buchi: appena se ne presenta l’occasione uno di questi si allarga e la coperta si strappa.
Questo è ad esempio Molenbeek, il quartiere dove sono cresciuti i terroristi del Bataclan e degli attentati di Bruxelles del 2016 e che oggi, grazie agli sforzi di un associazionismo volenteroso, ha dato vita a centri culturali, spazi condivisi per ospitare giovani informatici, centri anti violenza e luoghi di ascolto per donne e ragazze con difficoltà familiari. Ma non basta, perché malgrado l’imporsi di queste coraggiose realtà, all’interno delle case di Molenbeek si alimenta una controcultura che sfugge a inchieste e censimenti. Si parla in continuazione di terre perdute, del mondo arabo che non deve smarrire la sua identità, di codici morali da difendere malgrado siano in evidente contraddizione con quanto si pratica nelle scuole pubbliche, o con quanto si vede in tv.
E questo accade perché gli spazi comuni tra le diverse anime della comunità in realtà non ci sono: si tratta piuttosto di bolle che convivono l’una a fianco all’altra, e che si guardano con diffidenza l’una con l’altra. Un ragazzo di origini araba difficilmente sarà invitato a casa del suo compagno di classe francofono o fiammingo; le donne con il velo saranno servite nei negozi del centro con arroganza e sussiego; gli uomini che fumano ai tavolini dei bar sotto casa non si sognano neanche di andare a mangiare in una delle tante brasserie della Grand Place, persino negli ospedali e negli asili ci si ritrova sempre in zone separate dagli altri. La convivenza ha bisogno di basi forti, di una politica che veda più rappresentato il mondo degli immigrati di seconda generazione, per far sì che entri nello spazio pubblico e si sottragga dal culto del vittimismo privato. L’alternativa è convivere con la fragilità delle bolle. Che però sono sempre pronte a scoppiare.