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28 Settembre 2024Situato geograficamente nella porzione più meridionale della Riserva Naturale del Pigelleto, compresa tra l’edificio vulcanico del Monte Amiata e i rilievi montuosi del Gruppo del Monte Civitella, in un’area distante molti chilometri da tutti i maggiori centri abitati circostanti, quali Selvena, Castell’Azzara, Piancastagnaio e Santa Fiora, lo stabilimento del Siele (fig. 4) è stato il primo insediamento minerario per la coltivazione del mercurio in età moderna [2].
A differenza dell’area del Monte Amiata propriamente detta, nella zona del Siele affiorano le argille verdi (fig. 5), per cui nella serie stratigrafica del giacimento manca la copertura quarzo-latitica presente nel giacimento di Abbadia San Salvatore (tav. 1).
Si narra che, nel 1841, il pastore Domenico Conti, detto Mecone, portando al pascolo le proprie pecore in località Diaccialetto, fosse colpito da alcune pezzi di cinabro nel letto del Siele e decidesse di venderle come colorante al farmacista di Pitigliano, appartenente alla locale comunità ebraica.
Questi lo fece visionare a Cesare Sadun, importante commerciante ebraico, cognato dei fratelli Angelo e Salomone Modigliani di Livorno, già da tempo impegnati nel commercio del mercurio estratto dalla miniera spagnola di Almaden.
I Modigliani e il Sadun, certi di trarre profitto dall’estrazione del cinabro, acquistarono dalla famiglia Conti i diritti di sottosuolo per il terreno del ritrovamento e costituirono, il 5 dicembre 1846 a Livorno con un capitale di 80,000 lire, la “Società Industriale Stabilimento Mineralogico Modigliani”, dando inizio ad un’intensa attività di ricerca su una vasta area, comprendente le comunità di Abbadia S. Salvatore, Piancastagnaio e la Contea di Santa Fiora di cui facevano parte i territori di Castell’Azzara e Selvena.
I primi lavori incominciarono nel 1847 sotto la direzione del tecnico inglese Mecker, che già alla fine dello stesso anno fu sostituito dall’ingegnere francese Alfredo Caillaux che rimase alla guida della miniera, denominata allora “Diaccialetto”, fino al 1854, senza, peraltro, riuscire a coltivare il giacimento in profondità, ma rimanendo invischiato all’interno dei lavori estrattivi già effettuati in tempi antichi.
All’epoca la produzione di mercurio, ottenuta con forni a storte e di tipo Caillaux (vedi metallurgia), inventato dallo stesso direttore, si attestava a 19-20 bombole al mese con l’impiego di 17 minatori, 10 manovali, 1 armatore, 1 fabbro, 1 falegname, un numero variabile da 5 a 10 fra donne e ragazzi e 1 caporale addetto alla sorveglianza.
L’abbandono di Caillaux segnò un brusco rallentamento dell’attività produttiva che portò, dopo una serie di vicissitudini economiche e industriali, alla chiusura della miniera e al ritiro, nel 1860, dei fratelli Modigliani dalla società, in cui rimase come socio il solo Sadun che fu costretto, comunque, a mettere all’asta la miniera, acquistata nel 1864 per 40,000 lire da Emmanuele Rosselli, altro imprenditore livornese di religione ebraica.
Prima di ripartire con la coltivazione vera e propria sotto la direzione di un altro francese, l’ingegner Petiton, il Rosselli impiegò un quinquennio di ricerche, che portarono alla scoperta del vero giacimento non ancora coltivato, con un tenore di mercurio molto elevato, pari a quasi il 38%.
Con queste premesse, lo sviluppo della miniera fu rapidissimo e già nel 1878 il Conte di Madrid ne trattò l’acquisto per un gruppo francese che offrì 10 milioni di lire, senza concludere l’affare perché i Rosselli furono irremovibili sulla cifra di 14 milioni.
La coltivazione veniva fatta in maniera selettiva scartando le zone con minerale povero; un’ulteriore suddivisione veniva fatta sul minerale grezzo estratto, che era classificato in ricco, medio e povero, in proporzioni del 10, 45 e 45% rispettivamente.
Le prime due categorie passavano direttamente ai forni, la terza al lavaggio e arricchimento, che avveniva in cassoni di legno, lunghi 2.50 m e larghi 0.40, in cui si si separava il “fino per le storte”, alla testa del cassone, dal povero, alla fine del cassone. Quest’ultimo veniva ancora setacciato ottenendo i “granelli”, trattati in un forno continuo di tipo Hahner, “fanghi ricchi” e “minuto” che, passato alle tavole a spazzole, dava una “seconda ricca” e lo “sterile”.
Nel 1889 al Petiton successe l’ingegner Enrico Nathan, figlio di Sara Levi Nathan, imparentata con i Rosselli e di essi socia, il quale sarà successivamente Sindaco di Roma dal 1907 al 1913.
L’anno successivo segnò l’inizio della collaborazione dell’ingegner Vincenzo Spirek con la miniera, dapprima come responsabile del settore metallurgico e in seguito, dal 1897 al 1907 anno della sua morte, come direttore dell’intera miniera.
Lo Spirek promosse l’introduzione in miniera dei nuovi forni Cermak-Spirek (fig. 7) con la capacità di trattare 10-12 tonnellate di minerale al giorno con tenori di mercurio diversi, fino allo 0.1%; questo tipo di forno, derivato dall’americano Hüttner-Scott, rappresentò un notevole progresso rispetto ai precedenti e dominò incontrastato nell’Amiatino fino al 1956.
Nonostante le indubbie capacità organizzative e tecniche dello Spirek, gli anni della sua direzione furono oggettivamente difficili, sia a causa della diminuzione del tenore medio di mercurio nel minerale estratto che delle frequenti infiltrazioni di acqua in miniera che, oltre a rendere più difficoltosi i lavori di estrazione, aumentavano l’umidità del minerale peggiorando il rendimento dei processi di trattamento.
Di conseguenza, quando nel 1907 subentrò l’ingegner Alessandro Magnani, il giacimento del Siele era considerato in via di esaurimento, avendo l’argilla ricca in cinabro ceduto il posto a un’arenaria a basso tenore (0,3% Hg), accompagnata da forti emanazioni di idrogeno solforato e anidride carbonica.
Il minerale estratto proveniva, quindi, dai livelli superiori dove si era tornati a coltivare i minerali poveri abbandonati un tempo e a ripassare le vecchie ripiene, mentre le ricerche si erano spostate a Est, nella zona del Carpine.
Fino al 1914 continuarono delle modeste coltivazioni, poi la miniera venne messa in manutenzione e nel 1922 abbandonata e lasciata allagare.
Nel frattempo le ricerche nella zona di Carpine avevano individuato un nuovo giacimento separato da quello del Siele, di limitata estensione ma con tenori più elevati (1% Hg) di quelli ormai riscontrabili nel giacimento originario.
Tuttavia, dopo pochi anni di coltivazione, nel 1931, in seguito alla crisi mondiale del ‘29 che coinvolse anche le quotazioni di mercato del mercurio, la miniera del Carpine fu messa in manutenzione e ci rimase fino al 1949 quando i concessionari decisero di abbandonarla lasciandola allagare.
Intanto, ancora ai tempi dell’ingegner Spirek, nel 1898, vennero impostate delle ricerche nella zona delle Solforate a partire dalle gallerie esistenti nella miniera del Siele (Modigliani, Clelia), incontrando ricche mineralizzazioni argillose nei galestri.
L’argilla molto scura, plastica, veniva chiamata “biocca” e appariva identica a quella del giacimento del Siele.
Nel 1908, in vicinanza di Santa Fiora, entrò in funzione con una potenza di 300 KW la centrale idroelettrica del Caro che fornì alla miniera l’energia di cui aveva estremo bisogno, soprattutto per i ventilatori indispensabili per superare le difficoltà dovute alle emanazioni gassose veramente eccezionali, come ricorda lo stesso nome della zona.
Nel 1914 il collegamento tra la miniera del Siele e le Solforate fu realizzato mediante un locomotore a trolley che trasportava il minerale attraverso la galleria Emilia (fig. 6): tale locomotore era così efficiente che rimase in servizio fino al 1963.
Durante la 1a guerra mondiale la produzione subì un aumento, ma le agitazioni operaie e lo sciopero del 1919 causarono un rallentamento della produzione.
Nel 1923 le attività estrattive raggiunsero le mineralizzazioni nell’arenaria dando inizio a importanti lavori di ricerca e di preparazione sviluppati fino al 1933, quando la miniera con DM 24 maggio (GU 153/1933) fu unificata alla Carpine nella nuova concessione denominata “Carpine-Solforate”, sempre affidata alla Società “Stabilimento minerario del Siele”.
La produzione riprese a pieno ritmo solo nel 1936, ma nel 1938, a seguito delle leggi razziali fasciste che priveranno gli ebrei di ogni diritto di cittadinanza ivi compreso quello del possesso di beni e proprietà, le famiglie Rosselli–Nathan, che per oltre 70 anni avevano mantenuto il pieno controllo del Siele, furono costrette a disfarsi della miniera, che passò nel 1939 sotto il totale controllo del gerarca fascista conte Giovanni Arménise, già azionista di riferimento della Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Favorita anche dalla politica autarchica del governo fascista, la produzione riprese a salire, raggiungendo l’apice nel 1940 con 41,500 bombole, approfittando di tutto il minerale messo in vista nei lavori di preparazione e ricerca condotti dall’Ingegner Magnani nel decennio precedente, minerale rimasto ancora intatto, con un tenore medio del 3 % di mercurio.
In parallelo con le vicende della miniera di Abbadia San Salvatore, la produzione diminuì rapidamente nel periodo bellico e in seguito alle vicende politico-sindacali del dopoguerra, che si aggiunsero all’esaurimento delle zone più ricche del giacimento.
Nel 1954 la miniera si trovò in una situazione difficile: il tenore era sceso all’1%, esisteva pochissimo minerale in vista e le ricerche erano state tutte negative.
Una nuova impostazione dei lavori, la ripresa di vecchie coltivazioni e l’esito positivo delle ricerche in profondità fecero risalire la produzione e ricostituirono le riserve di minerale in vista.
Nel 1963 i vetusti forni Cermak-Spirek furono sostituiti da forni Pacific (fig. 9) a suole multiple e notevoli lavori di ammodernamento vennero realizzati all’interno della miniera.
Nel 1967 con DM 19 agosto (GU 22/1968) la Società “Stabilimento minerario del Siele” acquisì la concessione “Abetina”, confinante a N e già assegnata in perpetuo con DM 8 febbraio 1929 (GU 70/1929) alla “Società mineraria Argus” della Ditta milanese Feltrinelli, che nel 1919 ne aveva già acquistato i diritti dall’allora proprietario fondiario Cav. Francesco Pellegrini, costituendo la “Anonima Mercurifera Italiana”, che nel 1927 assunse la nuova denominazione.
La sorte delle miniere del Siele era comunque segnata e con DM 21 dicembre 1973 (GU 28/1974) fu pronunciata la decadenza delle concessioni “Carpine Solforate” e “Abetina”, che con decreto immediatamente successivo (DM 30 gennaio 1974 in GU 78/1974) vennero, di fatto, ripristinate all’interno della nuova concessione, denominata “Monte Civitella”, assegnata alla Solmine.
Seguirono altri passaggi burocratici di trasferimento della concessione , fino alla definitiva rinuncia dell’ultimo concessionario, la SAMIM SpA, accettata con DM 1° febbraio 1982 (GU 105/1982), ma già nel 1976 si erano di fatto chiuse tutte le miniere di mercurio dell’Amiata, con l’eccezione di Abbadia San Salvatore e del Morone.
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[2] A causa della distanza dai centri abitati, intorno alla miniera del Siele si costituì un vero e proprio villaggio minerario con il palazzo della direzione, i manufatti e gli impianti industriali funzionali alla estrazione, lavorazione e distillazione del cinabro, le abitazioni dei tecnici e dei dirigenti, una piccola scuola primaria, la cappella, lo spaccio, un’infermeria, le docce e gli altri edifici utili all’attività mineraria e alla vita delle famiglie dei tecnici che lo hanno abitato.