Remembering brice marden
11 Agosto 2024Sublime il tuo nome è Turner
11 Agosto 2024
La candidatura di Kamala Harris negli Usa, la vittoria dei laburisti di Starmer nel Regno Unito, il dualismo tra Mélenchon e Glucksmann in Francia, ma anche le ricette di Sánchez in Spagna, di Scholz in Germania e, in Brasile, di Lula (troppo amico di Cina
e Russia, però). In apparenza avviene tutto nella stessa area politica. In realtà sono leader distanti fra loro: per i settori della società a cui parlano, per i temi che affrontano, per le soluzioni (a volte rubate alla destra)
Giuseppe Sarcina
La candidatura di Kamala Harris è nata nel segno dell’emergenza, quasi della disperazione: l’ultima soluzione possibile per battere Donald Trump nelle presidenziali statunitensi di novembre. Ma Kamala, 59 anni, sarà anche una voce nuova, un modello accattivante per la sinistra internazionale?
Certo, per ora si è presentata con uno slogan piuttosto generico: «Si stanno confrontando due visioni, la nostra che guarda al futuro e un’altra che guarda al passato». E neanche originale. In una scena del film Le idi di marzo, uno spregiudicato governatore democratico, in corsa per la Casa Bianca, sale sul podio e dice esattamente la stessa cosa: «Si stanno confrontando due visioni, una guarda al futuro, l’altra al passato». La pellicola, del 2011, è diretta e interpretata da quello stesso George Clooney che, il 10 luglio scorso, con un articolo sul «New York Times», ha invitato bruscamente Joe Biden a farsi da parte. Per carità, sicuramente è una coincidenza: nessuno può affermare che Kamala abbia copiato dal suo nuovo sponsor George. Ma è anche il segnale che la proposta politica di Harris è ancora in costruzione.
Nelle ultime settimane qualcosa si è mosso nella sinistra occidentale. Il 5 luglio, prima della «sorpresa Kamala», il sessantunenne laburista Keir Starmer ha vinto le elezioni nel Regno Unito, chiudendo il lungo ciclo (14 anni) dei conservatori al governo. Harris e Starmer hanno alcuni problemi in comune da affrontare: la gestione dell’immigrazione, la criminalità, il disagio economico dei lavoratori e del ceto medio. Metteranno in campo anche politiche simili? Per certi aspetti sì, ma ci saranno differenze. In realtà non c’è in prospettiva la formazione di un nuovo asse riformista Usa-Regno Unito, paragonabile alla «Terza via» degli anni Novanta, cioè a una visione politica a metà tra il liberismo e il socialismo classico, teorizzata nel 1998 dal politologo Anthony Giddens, quando alla Casa Bianca c’era Bill Clinton e al numero 10 di Downing Street Tony Blair. Non si vede, almeno per ora, una dottrina condivisa sul piano internazionale. Quello che si coglie, invece, è la «moltiplicazione delle sinistre». Formule diverse, nel Regno Unito, in Spagna, Francia, Germania e, dall’altra parte dell’Oceano, negli Stati Uniti e in Brasile. Materiale interessante per le riflessioni dei partiti italiani, a cominciare dal Pd di Elly Schlein. Tutte queste esperienze, però, per essere competitive con la destra sono chiamate ad affrontare temi che a lungo sono stati «tabù» per gran parte del mondo progressista, come la sicurezza. Inoltre occorre recuperare credibilità come difensori dei ceti più deboli.
La sfida è particolarmente chiara per Kamala Harris. Come smontare il rozzo, ma efficace teorema trumpiano che attribuisce all’immigrazione clandestina la crescita della criminalità nelle città americane e l’impoverimento dei lavoratori? Harris farà valere il suo passato da procuratrice nel distretto di San Francisco prima e poi nell’intera California. Nei comizi insiste su due proposte. La prima: limitare l’immigrazione clandestina, rilanciando la riforma Biden bocciata dai senatori repubblicani, su pressione di Trump, il 7 febbraio 2024. In quel disegno di legge spiccano misure finora considerate schiettamente di destra. Ne ricordiamo tre: il rimpatrio dei migranti che non hanno diritto all’asilo politico; il rafforzamento delle barriere al confine, anche con il ricorso alla tecnologia; la costruzione di altri centri di detenzione. Nello stesso tempo la democratica Harris assicura che affronterà anche il totem dei conservatori: il Secondo emendamento alla Costituzione che garantisce ai cittadini il diritto di possedere armi. Su questo terreno, il partito democratico ha collezionato una lunga serie di sconfitte parlamentari. Ed è molto probabile che neanche un’eventuale amministrazione Harris sarà in grado di raggiungere l’obiettivo minimo: la messa al bando dei fucili d’assalto Ar-15, usati nelle stragi di massa e anche nell’attentato a Trump.
Qui entra in gioco una contraddizione della società americana: il ceto medio è la fascia di popolazione che si dice più preoccupata per l’aumento della violenza, ma è anche il segmento sociale più favorevole alla circolazione delle armi. Tuttavia la posizione di Harris può avere un impatto politico-culturale anche oltre l’America, dimostrando che la dottrina law and order non è patrimonio esclusivo della destra. Al contrario il connubio legalità e ordine sociale può diventare lo strumento principale della sinistra per riguadagnare consensi non solo tra la middle class ma anche nelle periferie di tante città europee, in balia di violenze e soprusi, grandi e piccoli.
Chi alimenta convinto questo trend è il neo premier laburista Starmer. In questi giorni sta usando toni e metodi risoluti, si potrebbe dire thatcheriani, per placare i violenti disordini anti-migranti e anti-musulmani esplosi nella cittadina di Southport, dopo che un diciassettenne di origini ruandesi ha ucciso a coltellate tre bambine, e dilagati in molte città. Starmer è, come Harris, un ex procuratore capo. Ha vinto le elezioni puntando su 4 parole. Tre fanno parte del repertorio classico della sinistra: lavoro, assistenza, uguaglianza. La quarta, sicurezza, l’ha strappata alla destra.
L’altra grande questione è l’intervento dello Stato nell’economia. Harris eredita la pioggia di denaro pubblico che l’amministrazione Biden ha scaricato su gran parte della popolazione durante e subito dopo la pandemia. Secondo diversi economisti quegli esborsi massicci, assieme alle conseguenze della guerra in Ucraina, avrebbero mandato l’inflazione fuori controllo. Gli effetti sono ancora oggi visibili: l’inflazione rallenta ma i produttori e soprattutto la grande distribuzione non hanno tagliato i prezzi di pane, uova, latte, burro, bacon e altri generi di base. È questo, oggettivamente, il versante più vulnerabile della candidatura Harris.
Si impone, quindi, una domanda per tutto il mondo della sinistra: qual è il modo più efficace per dare sostegno ai redditi più bassi, senza contraccolpi micidiali sull’inflazione? La risposta più interessante arriva dalla Spagna. Nell’ultimo anno, il premier socialista Pedro Sánchez, 52 anni, ha dovuto fronteggiare un aumento cospicuo dei prezzi. Stando agli ultimi dati di Eurostat (giugno 2024), il tasso di inflazione spagnolo ha raggiunto il 3,6% su base annua, contro il 2,6% della media nella zona euro (Italia allo 0,9%). Il governo socialista ha reagito con una serie di provvedimenti a favore dei settori più in difficoltà. Ecco alcuni esempi: riduzione dell’imposta sul valore aggiunto (la nostra Iva) per i prodotti alimentari di largo consumo; trasporti pubblici gratis per i disoccupati e per i giovani fino a 30 anni; rivalutazione delle pensioni più basse; adeguamento all’inflazione dei sussidi concessi ai giovani che affittano un appartamento; sovvenzioni per abbattere la rata del mutuo, concesse a famiglie con redditi fino a 38 mila euro. Sono misure che hanno toccato una vasta platea di cittadini. Basti pensare che in Spagna (47,7 milioni di abitanti), i proprietari di case sono 18,5 milioni; 4,8 milioni hanno ancora un mutuo da pagare. La sinistra di Sánchez, quindi, si distingue per un approccio pragmatico, realista: per progredire non occorrono grandi proclami, ma una fitta rete di protezione, laddove è necessario. Senza, però, rinunciare alla disciplina di bilancio, che, infatti, sta rientrando nei parametri fissati da Bruxelles
L’orizzonte europeo definisce, nel bene o nel male, l’esperienza bicefala della sinistra francese, che ha vinto in coalizione le legislative del 30 giugno e 7 luglio. Da una parte abbiamo la spinta radicale di Jean- Luc Mélenchon, 72 anni, capo di La France insoumise e promotore di un piano iper keynesiano di spesa pubblica: 150 miliardi di euro, da utilizzare soprattutto per aumentare del 10% i salari dei dipendenti pubblici e finanziare un massiccio «piano casa». Mélenchon assicura che le uscite sarebbero coperte dall’aumento delle tasse sui più ricchi. Ma tutto lascia pensare che a Parigi non ci sarà una maggioranza parlamentare a fargli da sponda. E a Bruxelles si teme il cortocircuito del bilancio statale, già sotto pressione (deficit-pil al 5,5%). L’altro leader, Raphaël Glucksmann, 44 anni, numero uno di Place publique e alleato con il Partito socialista, lavora a un inedito e superambizioso progetto di «sinistra europea». L’idea di fondo è che il sovranismo, il mondo delle «piccole patrie», sia l’ostacolo principale alla crescita equilibrata, in grado di coinvolgere tutta la società. Secondo Glucksmann la sinistra deve proiettarsi verso il comando dell’Europa, mettendo insieme modernizzazione e laburismo. Impresa a suo tempo tentata, con risultati nulli in Europa, da Tony Blair. A ogni buon conto Glucksmann ha presentato un piano con 338 proposte. Vediamone le più significative. Innanzitutto introdurre un salario minimo che valga per tutti i Paesi, in modo da ridurre le diseguaglianze e scoraggiare la concorrenza sleale tra le imprese. Inoltre: promuovere la parità tra uomo e donna, aggiornando la legislazione di ogni Stato. Ancora: costituire un fondo da 100 miliardi di euro per la difesa comune europea. E così via. Ma i piani di Glucksmann dovranno superare, innanzitutto, la resistenza della sinistra tedesca. Il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz guida una coalizione divisa e che potrebbe dissolversi con le elezioni nazionali del prossimo anno. I progetti di Glucksmann presuppongono l’emissione di debito pubblico condiviso dai governi europei. Un tema che oggi spaccherebbe l’esecutivo tedesco. In ogni caso Scholz non vuole fughe in avanti. La fiammata di Glucksmann rischia di spegnersi presto.
Sull’altra sponda dell’Atlantico, in Brasile, il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, 78 anni, resta un punto di riferimento per quell’ala della sinistra che ritiene possibile correggere le ingiustizie sociali causate dalle politiche liberiste con un robusto attivismo statale. La novità del secondo mandato di Lula, però, è un’altra: provare a cambiare gli equilibri economici internazionali, bilanciando lo strapotere del dollaro. Lula ha così ridato slancio alla partecipazione brasiliana nel gruppo dei Brics, ora formato da nove Paesi, tra i quali Russia e Cina. Una mossa che sta dividendo i progressisti. Gli estimatori del «Lula sociale», come Mélenchon in Francia o il senatore Bernie Sanders negli Stati Uniti, sono di gran lunga superati dai critici del «Lula alleato di Mosca e Pechino», come Harris, Starmer, Scholz e Sánchez.
https://www.corriere.it/la-lettura/