«Il turismo della neve nelle montagne senza neve» è una denuncia in otto parole, una fotografia spietata di quello che sta accadendo nelle località sciistiche di Alpi e Appennini, che nonostante le precipitazioni in calo e le temperature in rialzo da molti anni faticano a reinventarsi senza lo sci.
«Il turismo della neve nelle montagne senza neve» è anche il titolo del rapporto 2024 Nevediversa di Legambiente che denuncia l’«accanimento terapeutico», perché – bilanci alla mano – l’associazione evidenzia quanto lo Stato continui a investire inutilmente negli impianti di risalita e negli invasi per l’innevamento artificiale al servizio di impianti che in molti casi non potranno comunque programmare la propria neve artificiale, perché fa troppo caldo. Il censimento di quest’anno ha contato 177 impianti sciistici temporaneamente chiusi in Italia, 39 in più rispetto al 2023.
DI QUESTI, 92 SONO sull’arco alpino e 85 sull’Appennino. Sono 93 anche gli impianti aperti a singhiozzo (9 in più rispetto al report precedente): il grosso, ben 55, si concentra sugli Appennini. Scrollando i quotidiani locali online o i social network è facile imbattersi in foto allarmate dal Terminillo (Lazio), da Bolognola, Frontignano o Sarnano (Marche) o da Campo Felice (Abruzzo), dall’Abetone (Toscana) e dal Corno alle Scale (Emilia-Romagna): surreale pensare che tanti tra questi impianti sono al centro di grandi progetti di riqualificazione, finanziati con fondi pubblici locali e regionali, ma anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, fondi che però non potranno mai riportare la neve che non c’è in Appennino, parafrasando il nome del tavolo di lavoro convocato dalla ministra Daniela Santanché a gennaio di quest’anno, «Appennino senza neve».
EPPURE IERI, di fronte all’allarme dei media sugli effetti del cambiamento climatico sulle nostre montagne, l’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari è intervenuta per la prima volta in diretta con una risposta, un video che dà voce ad albergatori, ristoratori, artigiani, baristi, noleggiatori, commercianti, titolari di panifici, negozi di abbigliamento, che insieme dicono «grazie neve programmata». Secondo Valeria Ghezzi, la presidente dell’associazione che riunisce le imprese che gestiscono gli impianti di risalita, sono loro «i maggiori fruitori del nostro impegno e dei nostri costanti investimenti».
«Da parte nostra – commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento».
PARLANDO DI NEVE programmata, quella neve artificiale alternativa tecnologica al manto bianco, che per lunghi mesi nell’inverno 2023-2024 in quasi tutta Italia non è stato nemmeno possibile sparare, perché le temperature notturne erano troppo alte, Ghezzi dimostra però di non avere chiaro di cosa stiamo parlando: il problema non è solo economico, né sociale, ma riguarda l’ambiente, il territorio e l’esigenza di ripensare interamente il nostro stile di vita, a costo di rinunciare alla settimana bianca.
A INIZIO MARZO 2024, secondo i dati della Fondazione Cima; sulle Alpi manca un quinto della neve rispetto alla copertura registrata in media tra il 2011 e il 2022, e quella che c’è è caduta quasi tutta in pochi giorni nel mese di febbraio; sugli Appennini, invece, la neve non è proprio arrivata: ne manca il 78%.
Visto in prospettiva, il problema è che la montagna (e le pianure) sono attesa da un’estate siccitosa. Ecco perché suona stonata la scelta del ministero del Turismo di destinare con un bando ben 148 milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale, «a fronte dei soli 4 milioni destinati alla promozione dell’ecoturismo» sottolinea Legambiente.
I finanziamenti per la neve artificiale, che l’associazione ha mappato, non accennano a diminuire: in Piemonte, ad esempio, i fondi erogati ammontano a 32.339.873 di euro i contributi previsti per il biennio 2023-2025 (contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024).
STANDO AI DATI Arpa Piemonte, il trimestre appena terminato è stato l’inverno più caldo degli ultimi Settanta anni con una media regionale di 4,5°C, quasi 3°C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. Soldi a pioggia sono stati erogati anche in Emilia-Romagna, dove la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve nell’inverno 2022-2023. E poi ci sono i 20 milioni di euro a fondo perduto per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo, per una infrastruttura pesante osteggiata dalle associazioni e dai cittadini riuniti nel gruppo «Un altro Appennino è possibile».
In Toscana, intanto, è stato depositato lo Studio di fattibilità dell’impianto funiviario gemello, che collegherebbe Doganaccia e Corno alle Scale: il costo del progetto a oggi è pari a circa 15.700.000 euro, di cui 5,7 milioni a carico dello Stato e 10 milioni a carico della Regione Toscana. L’accanimento terapeutico costa.