MILANO – Una pesca – a ben vedere appena fuori stagione – diventa frutto della discordia in un dibattito che nasce sui social e sui social, con un tweet della premier Giorgia Meloni, finisce in scontro tra partigianerie sulla famiglia, sui divorzi, sui bambini. Per uno spot, ed è sicuramente un successo di comunicazione per chi lo ha fatto, ma anche (e qui torniamo ai social), «solo una pubblicità: calmiamoci tutti».
Esselunga, il marchio creato da Bernardo Caprotti alla fine degli anni Cinquanta, lancia una nuova campagna pubblicitaria in tv, claim “Non c’è una spesa che non sia importante”. Cortometraggi firmati dall’agenzia creativa Small, il primo si chiama appunto “La pesca” ed è girato in uno dei punti vendita milanesi dal regista Rudi Rosenberg. C’è la bambina, Emma, che fa la spesa con la mamma e che prende una pesca dal banco della frutta, c’è una casa borghese nel centro di Milano dove mamma e figlia arrivano dopo il tragitto in macchina – durante il quale la bambina, in silenzio, osserva un bambino in monopattino accompagnato da mamma e papà – e dove giocano per un po’, fino a quando non arriva il papà, e solo allora si capisce che è una coppia che non sta più assieme, e che il padre è andato a prendere la figlia per stare con lei qualche ora. La pesca viene consegnata al padre, con una bugia -che,nell’impazzimento collettivo, diventa innocente o pericolosa – e cioè che a mandargli quella pesca, sapendo che è un frutto che gli piace, è stata proprio la mamma.
Non serviva ma è arrivata comunque la presidente del Consiglio con il suo tweet – «Spot molto bello e toccante» – a far diventare questo spot materia incandescente. Roberto Selva, Chief Marketing & Customer Officer di Esselunga, è diplomatico: «Un tweet inaspettato e gradito, ma non tocca a noi commentarlo. Noi raccontiamo delle storie che non sono di destra o di sinistra, ma del mondo reale, una storia contemporanea e quotidiana ». Eppure questo spot da due giorni scomoda il diritto al divorzio da una parte, il ‘nessuno tocchi i bambini’ dall’altra, e soprattutto le esperienze personali di tanti genitori separati che in quello spot si sono rivisti, con più o meno apprezzamento. Perché l’immagine di una bambina che – questa una delle accuse – si fa carico di ricostruire un rapporto tra gli adulti è violenta. Perché far passare il messaggio che quello che si è rotto si può aggiustare è sbagliato. Perché colpevolizzare i genitori che si sono lasciati facendo soffrire i figli è un altro attacco al diritto al divorzio, e qui la polemica sulla società si salda a quella politica e alle posizioni del governo sulla famiglia. Che non è più quella del Mulino Bianco da tempo, e di divorziati e famiglie allargate nesono piene le poltrone al governo e in Parlamento, ma il punto della polemica diventa l’uso dei bambini come mediatori tra due adulti.
Nel dibattito che da due giorni è difficile non incrociare, chi ha vissuto o vive l’esperienza della separazione racconta sentimenti contrastanti sullo spot: commozione, è vero, ricordo di una sofferenza amplificata dalle domande dei figli. Ma, in comune, tutti dicono: anche i miei figli ci provavano, anche i miei figli chiedevano quando saremmo tornati assieme. Per il marchio, ovviamente, risultato portato a casa. Aggiunge Selva: «Quando si pianifica una campagna di questo tipo si mette in conto che mettere d’accordo tutti è impossibile, ma volevamo fare per la prima volta un discorso emozionale senza mettere in primo piano i prodotti ma una storia, uscendo dalla nostra comfort zone. Boicottaggi da chi non ha apprezzato? Noi ci occupiamo di supermercati e parliamo a tutti».