La politica va in pizzeria. Un gesto che squaderna di colpo la mappa della nuova geografia mondiale. Alla fine della prima giornata dell’Assemblea Onu, la nostra premier Meloni ha preferito, all’ennesima cena ufficiale con Joe Biden, una pizza, «tanto non serviva un’altra foto», ha detto. La pizzeria di Union Square, a due passi da Little Italy, ha anche il nome perfetto per l’evento: “Ribalta”. Con un semplice gesto, un gesto di verità in tanta retorica, la premier ha preso atto che il nostro Paese è fuori dal grande gioco che si sta svolgendo in questi giorni dentro il gigantesco palazzo di cristallo sulle acque dell’East River di Manhattan.
Ma prima di buttarla in caciara, avverto che questo è un discorso serio. Molte nazioni sono assenti dall’Assemblea annuale dell’Onu, e l’Italia non è sola nella politica della pizza. All’Onu sono giornate faticose, in cui aleggia un drammatico senso di irrisoluzione e riduzione di potere. Un processo che taglia fuori le nazioni deboli, i Paesi in bilico, gli umori nazionalisti, e i leader superflui. Quale che sia, di tutte queste, la categoria in cui l’Italia rientri, lo può scegliere ognuno di noi – un po’ dipende da quel che pensate della premier. Che queste mie parole non siano però ispirate da cattiveria lo prova la realtà dei fatti. Le Nazioni Unite, una delle pregiate istituzioni – le altre sono Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale – che hanno ridefinito il mondo del secolo scorso, si sono ristrette. Il sogno che le nazioni possano essere unite, tutte, a dispetto delle divisioni di politica, religione e sistema economico, si è logorato.
Se dovessimo rimanere alla metafora culinaria, non ci sarebbero dubbi che all’Onu è in corso una cena per pochi, parafrasando un geniale titolo dell’autorevole Ispi (Istituto di Politica Internazionale) che definisce la riunione di quest’anno (che dura fino a domani) una «Assemblea generale per pochi intimi». Un abbandono di rappresentanza mai verificatosi prima, nei 78 anni di vita dell’organizzazione, che è sempre stata l’ambito palcoscenico di ogni premier nel mondo.
A New York oggi, invece, qualunque sia la capitale cui si guarda, e i potenti di cui si fa l’elenco, ci sono assenze di grande peso. Manca il presidente cinese Xi Jinping, che aveva trovato il tempo per partecipare al vertice dei Brics, il mese scorso. Manca Narendra Modi, premier indiano che è riuscito con attività infaticabile a portare in prima linea fra le potenze mondiali la sua India – o Bharat, parola sanscrita per India, usata nella lingua sovranista di Modi, in chiave anticoloniale. Troppo coloniali anche gli Usa? Di Putin non possiamo dir nulla: se pure avesse voluto andare a New York, lo avrebbero subito arrestato perché su di lui c’è un mandato di cattura della Corte penale internazionale, per crimini di guerra. Ma interessante è che manchi all’appello anche l’altro Paese principale del mondo anglosassone: Rishi Sunak, premier Uk, non c’è «per impegni precedenti» di una troppo affollata agenda. È il primo premier anglosassone a dare buca all’Onu.
L’elenco non finisce qui. Dall’Europa manca anche Macron, che, per riprendere il nostro tema iniziale della pizza, è impegnato in celebrazioni da far venire l’acquolina in bocca al resto del mondo. Mi riferisco a quel posto démodé che si chiama Versailles, dove Carlo di Inghilterra e Regina in visita al nuovo Re di Francia Macron e Regina, hanno celebrato all’ombra delle sfilate nei viali alberati di Parigi, sotto la protezione dei soliti incongrui cavalieri in giubba rossa, il rito dello sfarzo senza tempo che accompagna la nostalgia. Una celebrazione fuori dal tempo per entrambi, ma anche fuori dal vero potere. Esattamente come l’Italia.
È insomma in corso una operazione verità sull’Onu che svela anche i rapporti di potere reali in campo. Potrebbero d’altra parte davvero essere unite Nazioni che hanno sdoganato di nuovo il potere delle armi, o dei vari interessi nazionali, l’una contro l’altra? Non starò qui a ripetere, ma davvero abbiamo pensato che Covid, guerre economiche, sfide tecnologiche, colpi di stato, e una guerra tradizionale in Europa con una pericolosa vicinanza fra Nato e Russia, possano essere eventi che poi ci buttiamo alle spalle dopo un po’ di mesi di problemi?
Non facciamo che ripeterci che il mondo è in rapido cambiamento, ma ci rifiutiamo di vederlo. Un rifiuto che impatta sulla vaghezza, e spesso stupidaggine, del nostro discorso pubblico collettivo: ricette senza consapevolezza delle dimensioni dei problemi, come innanzitutto quello della “stabilizzazione dell’Africa” da parte dell’Europa tramite accordi economici (qualcuno ha calcolato le dimensioni dei due mercati?), o quella delle sfide climatiche affrontate come un patchwork di situazioni separate nazione per nazione, o, appunto, la polverizzazione della vecchia rete di alleanze, figlia sostanzialmente di due blocchi politici – Occidente/Oriente – due pensieri economici – capitalismo/comunismo – oggi “bucati” da opinioni e Paesi “terzi”. C’è infatti una rigorosa logica tra l’emergere di un nuovo linguaggio di definizione dei soggetti sociali (identità culturale, razza, genere) e l’emergere di richieste di accesso al dibattito e alla ricchezza globale, da parte di Paesi finora ai margini.
L’emergere del Sud del mondo, per ora una fragile intesa, è già un cambiamento di prospettiva, con l’espansione dei Paesi Brics all’inclusione di Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati. Si chiama tutto questo “L’epoca del Minilateralismo”, e ha già segnato la mappa globale dei poteri.
Quello che succede in questi giorni all’Onu è il ritratto di tutto questo. E non è rassicurante. Il Segretario Onu Antonio Guterres ha rilanciato la necessità di riformare le istituzioni multilaterali nate dopo la Seconda Guerra Mondiale per renderle «più eque». È una vecchia idea, questa delle riforme, agitate da quasi due decenni. Ma a cosa porteranno è rischioso, proprio per il clima in cui nascono. Un esempio di dove possono andare le cose: c’è già una ampia opinione che sostiene che la riduzione di potere potrebbe portare a un rafforzamento, perché l’Occidente ne acquisirebbe in identità. Vedremo. Per me è la solita ricetta in cui si confonde forza con minoritarismo.
Per ora tuttavia siamo molto al di qua della “esplosione” dell’Onu. E la sua funzione è ancora rilevante, se è vero che alla sfiducia votatagli da chi non è andato ha corrisposto una pagina a mio parere importante nella politica estera. Il conflitto in Ucraina, che è stato l’acceleratore della crisi di passaggio di cui abbiamo fin qui parlato, ha dominato l’incontro, di New York, e per vie negative ha costruito un passaggio positivo. Tra Zelensky, che si è esposto arrivando in persona, e Lavrov, il leggendario ministro degli esteri e delle rogne internazionali russe, si sono quasi sfiorati, ma soprattutto si sono insultati. Saranno stati insulti, ma se le sono cantate direttamente. Il che, al punto tragico raggiunto dalla guerra in Ucraina, è la cosa più vicina a un colloquio.