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di Paolo Decrestina
Da destra a sinistra, ai comizi brani degli anni 70 e 80
Milano Quando Carlo Tognoli nel 1980 accettò il rischio del concerto di Bob Marley a San Siro dopo gli scontri agli show di Santana e dei Led Zeppelin, fu subito chiaro che la politica aveva capito il grande potere della musica. Così come quando il Comune di Bologna, nello stesso anno, organizzò a piazza Maggiore il concerto dei Clash. Un evento culturale, sociale (e molto politico).
Quarantaquattro anni dopo, lo scenario è più o meno questo: i partiti sono diversi, ma la musica, a ben vedere, è sempre la stessa. Già, perché sembra proprio che la politica di oggi si affidi (o forse si aggrappi) al «revival». Basta tornare indietro al comizio di sabato scorso a Milano di Matteo Salvini e Roberto Vannacci: dalle casse dell’impianto audio leghista si alza «Generale», Francesco De Gregori (1978). E poi ancora «Blowin’ in the wind», Bob Dylan (1962), «Give peace a chance», John Lennon e Yoko Ono (1969).
Nello stesso giorno, a neanche due chilometri di distanza, a fare gli onori di casa sul palco del Pd all’Arco della Pace, c’è Beppe Sala. Il sindaco si presenta spinto dal rock psichedelico di «Riders on the Storm», Doors (1971). Mentre il candidato dem alle Europee Alessandro Zan sceglie «Pedro», Raffaella Carrà (1980). E in contemporanea, in piazza del Popolo a Roma, il comizio di FdI con Giorgia Meloni si chiude sulle note di «A mano a mano», Rino Gaetano (1978).
È la musica che ha abbandonato la politica (con le star che si rifiutano di schierarsi per i partiti) o è la politica che, per far fronte all’ormai cronico crollo dell’interesse giovanile alla cosa pubblica, è costretta a ripresentare le canzoni di quegli anni caldi?
Di certo le differenze (canzoni a parte) con quel periodo ci sono tutte. Basti pensare a come anche il Partito comunista, dopo il 1980, riuscì a vincere la «diffidenza» storica per i grandi nomi internazionali. Tanto che nell’82, i giganteschi Genesis (con tutti i loro Grammy) si esibirono alla Festa dell’Unità di Tirrenia. E poi ancora il cantautorato: Vecchioni, Venditti, De Gregori. Insomma musica e politica su binari paralleli.
Oggi, invece, è davvero difficile associare le hit del momento ai comizi. Non può essere un caso che Antonio Tajani inviti i Ricchi e Poveri all’evento di Forza Italia a Roma, o che Letizia Moratti balli con Ivana Spagna (vincitrice del Festivalbar del 1987 con «Dance dance dance») sulle note di «The Best», che Tina Turner ruggiva dal 1989.
Altri tempi, certo, e forse altra musica, visto che oggi in testa a Spotify troviamo generi totalmente diversi. Certo, è difficile immaginare una chiusura di campagna per le Europee con «Sesso e Samba» di Tony Effe e Gaia o «Beatrice» di Tedua e Annalisa. Musica e politica, il rischio forse è andare fuori tempo.