L’incanto della figlia della foresta
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14 Marzo 2023#OraLeIdee per la #PubblicaSicurezza
“La tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, ad esclusione della polizia amministrativa locale – così come sancito all’articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione – continua ad essere riservata alla competenza statale. Affidare siffatta tutela agli enti locali, nella logica del Costituente, avrebbe significato pregiudicare gravemente la possibilità di assicurare su tutto il territorio nazionale livelli essenziali uniformi di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali fondamentali.
Allo stato attuale, tuttavia, si è da più parti evidenziato che, per raggiungere standard di sicurezza adeguati – soprattutto nell’attuale momento storico connotato dall’aumento di fenomeni sociali (immigrazione clandestina, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti) che costituiscono il substrato di nuove forme di criminalità organizzata, spesso transnazionale – è necessaria la 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐢𝐧𝐞𝐫𝐠𝐢𝐜𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐢𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐥𝐢 𝐞 𝐥𝐨𝐜𝐚𝐥𝐢.
In tale contesto, l’apporto degli enti locali può davvero costituire un valore aggiunto nella garanzia dei diritti dei cittadini alla sicurezza e il 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐢𝐧𝐝𝐚𝐜𝐨 𝐩𝐮𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐥𝐜𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐠𝐚𝐫𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚. Del resto il sindaco è in grado, più di chiunque altro, di conoscere le problematiche sociali della realtà locale che incidono negativamente sul senso di sicurezza percepito dai cittadini e che possono dare luogo a problemi di ordine pubblico. Questo è quanto emergeva all’epoca in cui venne emanato il D.l. 92 del 2008, poi convertito nella Legge 94 del 2009 nella Relazione governativa alla proposta di conversione (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_2_1.page…#).
Trascorsero ben otto anni e sul delicato tema intervenne nuovamente il legislatore del 2017 che con la Legge n. 48 sostanzialmente confermò le esigenze evidenziate in precedenza, peraltro nel frattempo aggravatesi. Del resto, il delicato tema della Pubblica sicurezza era pressoché fermo agli inizi degli anni ottanta, quando venne emanata la Legge 121 del 1981 di riforma del settore. In effetti, da allora il Paese aveva subito dinamiche sociali di significativo rilievo, sicché un intervento doveva davvero ritenersi urgente: figuriamoci adesso.
Nonostante tutto però, la normativa introdotta aveva sollevato non poche critiche, si era parlato di sindaci sceriffi e di gravi violazioni alle libertà individuali, conseguentemente le misure auspicate erano di fatto andate incontro ad una attuazione timida, con il tempo scemata verso una vera e propria disapplicazione. In realtà, a bene vedere, il concetto di Pubblica sicurezza riveste rilievo Costituzionale, visto che la nostra Carta fondamentale lo menziona svariate svolte sia nella parte relativa ai Diritti e doveri dei cittadini che in quella riguardante l’Ordinamento della Repubblica.
Purtroppo, il prezzo di tali vicende è stato pagato dalla collettività che ha visto degradare i centri urbani sino a diventare luoghi poco raccomandabili, di marginalità sociale, tutt’altro che inclusivi. Nondimeno la deturpazione di luoghi pubblici è cresciuta, a svantaggio della concreta possibilità di fruizione collettiva di detti spazi.
È sotto gli occhi di tutti che le nostre città, i centri storici così come le periferie anche di piccoli agglomerati urbani, siano divenuti sempre più spesso luoghi di incontro e permanenza di malintenzionati. L’abuso di sostanze, non solo alcoliche, non fa che aggravare tale fenomeno portandolo così a superare degli ipotetici limiti di guardia. Non deve sottovalutarsi, infine, che gli auspicati interventi per la sicurezza dei cittadini e dei luoghi pubblici potrebbero risultare doverosi anche alla luce del recente riscoperto interesse per i c.d. l.e.p. (livelli essenziali delle prestazioni).
Cosa fare quindi? Applicare in modo disomogeneo e bizzarro le norme di cui si è fatto cenno così da mortificare l’intero impianto normativo non è un atteggiamento che può condividersi; men che meno trascurare la problematica.
La via d’uscita può essere costituita da una attenta analisi delle esigenze dei cittadini e del territorio, in relazione ai crimini che vengono evidenziati (non solo quelli che vengono denunciati, poi pedissequamente riportati nelle rituali statistiche) così da pianificare mirati interventi di contenimento e repressione dei comportamenti da contrastare.
Interventi che, necessariamente, dovrebbero vedere allineate, dall’autorità competente, tutte le Forze dell’ordine impegnate sulla strada, in modo da limitare l’impiego delle risorse da destinare alla specifica esigenza nello stretto indispensabile e nel rispetto dei principi di efficacia ed efficienza, anch’essi di rango primario. Questa funzione di coordinamento, in effetti, appare oramai ineludibile, anche alla luce della crescente riduzione delle forze che nel futuro saranno disponibili per l’impiego sulla strada, o comunque operativo. Non appare ulteriormente rinviabile ricorrere a strumenti di maggiore efficacia nel contrasto a fenomeni di criminalità c.d. urbana e che troppo di frequente incidono sulla insicurezza reale e percepita da ognuno di noi.
I rinvigoriti poteri di ordinanza attribuiti al Sindaco (accolti nel T.U.E.L.), il daspo urbano, l’Ordine di allontanamento, il Divieto di accesso o di stazionamento, le misure c.d. anti-spacciatori, il nuovo articolo 639 del Codice penale che colpisce anche i c.d. writers, l’attuazione dei Patti per la sicurezza urbana, i progetti per rendere concreto il concetto di Sicurezza integrata sono strumenti esistenti e che attendono solo di essere applicati, per il bene di tutti ed a vantaggio di tutti i settori economici del tessuto cittadino. I cittadini chiedono sicurezza, ora.
Roberto Nisticò #PerSiena