Così la base elettorale di FdI condiziona la Melonomics
30 Settembre 2023Arisa – La notte
30 Settembre 2023
di Goffredo Buccini
Le elezioni europee di giugno 2024 sembrano lontane. Ma rischiano di essere fin troppo vicine se parte sin d’ora, nei Paesi dell’Unione, una logorante campagna fondata sul tema emotivamente più divisivo per le rispettive opinioni pubbliche: le migrazioni. La dice lunga quanto accaduto al Consiglio Affari interni che, convocato giovedì dalla presidenza spagnola, avrebbe dovuto sancire un accordo tra i 27 con regole comuni per la gestione del fenomeno. Sul nuovo Patto migrazioni e asilo si sono scaricate le difficoltà che i partiti al governo negli Stati membri incontrano (e incontreranno) nel siglare intese da riportare in patria ai cittadini-elettori vendendole come successi da far fruttare nelle urne. Diffidenze radicate, egoismi nazionali e vecchi rancori hanno finito così per allontanare (per ora) un compromesso accettabile. Ci riproveremo, ma è meglio non illudersi granché.
Purtroppo, come in un domino, i dissapori accumulati su questo tavolo finiranno inevitabilmente per scaricarsi anche su altri delicati dossier europei, in primis quelli economici: ad esempio sul patto di Stabilità di cui stiamo andando proprio adesso a ridisegnare i contorni.
Più in concreto, la Germania, alla quale ci oppone in queste ore una dura polemica sulle Ong e sui soccorsi dei profughi in mare, è anche il Paese più ostinato nel volere una quota fissa di rientro dal debito, laddove noi, e altri Paesi come noi meno rigoristi, preferiremmo un percorso personalizzato e à la carte: litigare con Berlino può essere costoso. Perché, come sempre, tutto si tiene. A metà degli anni Dieci, ad esempio, col centrosinistra al governo, ci sobbarcammo l’intero impatto dei flussi migratori in cambio di maggiore flessibilità europea sui conti pubblici, salvo mettere poi un argine agli sbarchi incontrollati col memorandum siglato con la Libia dal ministro dem Minniti e osteggiato dagli stessi militanti del Pd: la materia si presta a cortocircuiti straordinari.
Bisogna tuttavia bendarsi gli occhi per non vedere che l’Italia è, con i suoi settemila chilometri di coste e i suoi duemilaottocento miliardi di debito pubblico, tra i player europei più esposti in entrambe le partite. E, dunque, sarebbe nostro primo interesse considerare le migrazioni per ciò che sono: non un’emergenza imprevista ma un dato strutturale sul quale ragionare con pragmatismo, depoliticizzando il dossier. La realtà sembra andare in tutt’altro senso. Nella destra di governo è aperta una competizione al rilancio, certo non estranea ad alcune asperità polemiche fuori luogo: come l’avventuroso raffronto storico del vicesegretario leghista Crippa tra le invasioni naziste e il finanziamento delle Ong propugnato dal governo Scholz in questo periodo. Ma anche l’opposizione italiana vive momenti di sbandamento: Giuseppe Conte sembra ritrovare gli accenti dell’alleanza con Salvini quando accusa il Pd di essere «per l’accoglienza indiscriminata» e i dem mostrano quanto illusorio fosse il «campo largo» quando gli rinfacciano di parlare «come Meloni».
Mal comune non è mai mezzo gaudio. Però è giusto ricordare come il sottile veleno dei sondaggi e del facile consenso intossichi anche i nostri partner maggiori, portandoli a formidabili giravolte. S’è detto dei tedeschi e della contesa sulle Ong (che, per inciso, pesano appena per il 5% degli sbarchi sulle nostre coste, a conferma del valore meramente simbolico di questo scontro). Bene, Manfred Weber, capo dei Popolari europei, prendendo in contropiede il suo cancelliere e soprattutto la ministra degli Esteri verde, Annalena Baerbock, dà ragione all’Italia, ammonendo che «azioni unilaterali e non coordinate, come quelle delle navi delle Ong tedesche che trasportano i migranti nei porti italiani, non avvicinano l’accordo sulla riforma dell’immigrazione. Possiamo ridurre l’immigrazione illegale solo se lavoriamo insieme». Pura saggezza, se non si intravedesse anche qui in filigrana l’urna elettorale (dove Weber andrà col nostro ministro Tajani, attuale leader di Forza Italia in dura polemica col governo tedesco sul tema). I francesi, bontà loro, sembrano ora assecondarci: il ministro Darmanin cita «Madame Meloni» quale esempio virtuoso. Ma, certo, lo fa contro Marine Le Pen, dunque ancora in via strumentale. Che dire, del resto, dei soldati di Macron a Ventimiglia? E delle diplomatiche contumelie che ci siamo scambiati fino a ieri con l’Eliseo?
In un libro di prossima uscita per Laterza, il sociologo Stefano Allievi paragona i flussi migratori al corso naturale dei flussi d’acqua da monte a valle, regolabile, sì, con canali e dighe, fruibile per l’energia elettrica, ma inarrestabile: pensare di fermarlo è come sperare di fare andare un fiume all’indietro. Pare ovvio, no? Ma capire che, di fronte al fiume delle migrazioni, noi europei siamo tutti legati da un destino comune ben oltre le (elezioni) europee sarebbe la prima proposizione non inutile del prossimo vertice.