Fmi e conti pubblici
Il Fondo Monetario ha parlato: il documento consegnato alle autorità italiane dalla missione che ha ormai lasciato l’Italia è chiaro su cosa il governo dovrebbe fare. Quello che sta scritto nel documento è integrato dai retroscena riassunti nell’articolo pubblicato oggi su queste colonne. Tre punti sono particolarmente rilevanti.
Il primo riguarda il destino del Superbonus e, in generale, dei bonus edilizi. Costeranno circa 200 miliardi al contribuente italiano. Chiariamo una cosa.
La spalmatura che Giorgetti ha portato avanti (per ora) con successo riguarda una parte molto limitata del costo totale. Il provvedimento riduce l’impatto del Superbonus sul debito pubblico di 8 miliardi nei prossimi quattro anni, aumentandolo di pari importo per i successivi otto. Un po’ poco.
L’Fmi è molto più tranchant: “terminating housing renovation subsidies”
dice nel documento consegnato alle nostre autorità. Ma perché questo abbia un impatto significativo sui conti la frase dovrebbe essere interpretata in senso retroattivo, coinvolgendo i bonus già erogati negli anni 2021-23. Sinceramente mi sembra che, per quanto il Superbonus sia stato disastroso, una sua revisione ex post di queste dimensioni recherebbe un grande vulnus alla credibilità dello Stato italiano.
Un tale vulnus sarebbe giustificabile solo in una situazione di estrema emergenza. È un po’ come ristrutturare il debito pubblico: è lo Stato che dice “non ti pago”. Cose di questo genere sono possibili solo con l’acqua alla gola e non lo siamo, grazie anche alla marea di soldi che sono arrivati in questi anni dalle istituzioni europee: forse troppi, col senno di poi. Il secondo punto, in parte collegato al primo, riguarda la velocità di aggiustamento dei nostri conti pubblici.
Concordo col Fmi che il punto di arrivo di questo aggiustamento deve essere un avanzo primario vicino al 3% del Pil. Il Fondo dice però che questo obiettivo deve essere centrato entro il 2026, nonostante si parta da un deficit primario dello 0,4 per cento del Pil nel 2024: un aggiustamento di oltre tre punti percentuali in due anni. Il Fondo ritiene che un tale aggiustamento non avrebbe un impatto significativo sulla crescita perché tagli di sussidi e altre spese inutili potrebbero essere compensati da una piena realizzazione del Pnrr: poca spesa buona in più annulla, in termini di Pil, il taglio di tanta spesa cattiva.
Qui però non capisco. Nel lungo periodo un piccolo aumento di spesa di alta qualità può compensare tagli anche significativi di spesa inutile. Ma nel giro di uno o due anni quello che conta è l’impatto netto sulladomanda aggregata: nell’immediato, un taglio di spesa cattiva vale tanto quanto un aumento della spesa buona perché impattano in modo uguale sulla domanda dell’economia che, nel breve periodo, determina il livello del reddito.
Io sarei contento se la politica di bilancio nei prossimi anni fosse coerente (ma ex post e non solo in termini di promesse) con quanto richiesto dalle nuove regole europee sui conti pubblici. Queste richiedono un miglioramento dell’avanzo primario di mezzo punto percentuale l’anno (fra l’altro la maggior parte degli economisti italiani ritengono che anche questo sia troppo!).
Il terzo punto riguarda il Pnrr. Il documento del Fmi sostiene che, una volta completato il Pnrr, occorrerebbe avere un nuovo piano perché la strada da percorrere è ancora lunga. Su questo non ci piove.
Come riassunto dal suo acronimo, il Pnrr è un piano per sostenere la “ripresa” dopo il Covid e l’acquisizione di una “resilienza” che la nostraeconomia non aveva nel 2020 (da qui la necessità di finanziamenti dall’Europa).
La ripresa è stata ottenuta: senza quei 200 miliardi del Pnrr sarebbe stata molto più difficile. Ma siamo ancora lontani dal raggiungere la resilienza, ossia la capacità di sostenere shock economici da soli, il che richiede anche portare il nostro tasso di crescita in tempi buoni almeno al 2% l’anno. Occorrerà andare oltre il 2026.
Questo però non deve comportare posticipare la realizzazione delle cose che ci siamo impegnati a fare entro il 2026. Comporta impegnarci a fare altre cose dopo il 2026. Rinunciare ora agli obiettivi fissati rinegoziando (ancora!) il Pnrr è sbagliato: insomma il Pnrr non può essere trattato come le cose che di solito mettiamo nel Milleproroghe. Cerchiamo di fare il possibile e faremo poi i conti con quello che è stato fatto o non fatto.