La spesa rispetto al Pil verso i minimi storici (6,2%), sotto la media Ue (8) e di paesi come Francia e Germania (10) Così chi non vuole sottostare a liste di attesa infinite o può semplicemente permettersi di pagare si rivolge altrove
C’è una pista infallibile da seguire per capire cosa succede alla sanità pubblica e di conseguenza a quella privata. Si tratta dell’andamento del rapporto tra il valore della spesa sanitaria, cioè di tutti i costi sostenuti in un anno dalle Regioni per curare i loro cittadini, e quello del Pil. Ebbene la prospettiva per i prossimi anni, certificata dal Mef, è quella di una discesa a livelli bassi, praticamente mai raggiunti. In questo 2023 il rapporto è al 6,7%, nel 2025 e nel 2026 scenderà fino a un misero 6,2%.
Va detto che l’Italia, indipendentemente da chi l’ha governata, non è mai stata molto generosa con ospedali, medici e infermieri. Così dal 2001 al 2019 ha perso 65 mila posti letto. Negli ultimi anni, tra l’altro mentre il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione diventava prorompente, il rapporto è sempre rimasto sotto alla soglia del 7%. Ci sono solo un paio di eccezioni, la più eclatante è quella degli anni del Covid, quando il governo ha riversato risorse sulla sanità che stava fronteggiando la pandemia. La media europea comunque è sempre rimasta lontana, visto che è all’8%, con Paesi come Francia e Germania che viaggiano addirittura intorno al 10. Insomma, si potrebbe fare molto di più.
E mentre la spesa pubblica si rivela troppo bassa per dare una svolta a un sistema in difficoltà, ad esempio in quanto ad organici e tempi di risposta nella specialistica, il privato fa affari. Negli anni, intanto, sono cresciuti i fondi riconosciuti dalle aziende sanitarie ai convenzionati, cioè a cliniche e anche centri diagnostici che lavorano per conto del servizio sanitario. Si tratta di strutture che, sempre citando i dati del Mef, nel 2002 ricevevano 14 miliardi di euro per le loro attività. Nel 2021 sono arrivate a 25 miliardi, ma si veniva da un 2020 che a causa Covid aveva interrotto il trend di crescita. Altrimenti il dato sarebbe stato anche più alto.
Se si osservano esclusivamente le strutture territoriali accreditate, cioè laboratori, ambulatori, consultori e così via, e non cliniche che fanno ricoveri, nel 2000 rappresentavano il 38,9% dell’offerta sanitaria totale pagata dallo Stato. Venti anni dopo la percentuale è salita al 58%. A dirlo è il rapporto Oasi dell’Università Bocconi. Alcune Regioni hanno visto una enorme esternalizzazione dell’offerta sanitaria: nello stesso arco di tempo il Piemonte è passato dal 23,9% di strutture accreditate sul totale di quelle territoriali al 64%, in Lombardia si è passati dal 34 al 70%, l’Emilia Romagna dal 31 al 57%, in Puglia dal 38 al 63%.
Ma i privati incassano anche dai singoli cittadini. Si tratta della spesa così detta “out of pocket”, che cioè gli italiani tirano fuori di tasca propria tipicamente per fare la risonanza, l’ecografia, la visita ginecologica o pediatrica, anche in intramoenia, in tempi accettabili rispetto a quelli pubblici, talvolta lunghissimi. Secondo un’elaborazione dei dati Istat dell’Osservatorio sui consumi privati in sanità sempre di Bocconi (che tiene conto anche di quanto sborsato per le assicurazioni sanitarie) questa spesa p rivata valeva 34,4 miliardi di euro nel 2012 e 41miliardi nel 2021. Cioè, il 20% in più in dieci anni. Il dato è così suddiviso: gli italiani spendono direttamente circa 20 miliardi per la specialistica, compresa l’odontoiatria, altri 15 per comprare farmaci, attrezzature terapeutiche e altri prodotti medicali. Poi ci sono quasi 6 miliardi per ricoveri ospedalieri o in strutture di lungodegenza, la voce che incide di menoanche perché pochissimi si possono permettere interventi chirurgici e degenze nel privato. La spesa privata diretta degli italiani racconta di una sanità pubblica che fatica a rispondere a tutti, soprattutto quando si tratta di prestazioni di base.
I numeri dell’attività privata non riguardano una fascia di italiani, le persone che non possonopermettersi di pagare una prestazione privata. Talvolta, di fronte ad attese lunghissime nel pubblico, dovute magari anche all’inappropriatezza di una parte consistente delle prescrizioni, rinunciano. Si tratta, secondo Istat, di circa 2,5 milioni di italiani. Sono gli espulsi dal sistema sanitario.