«Anni fa era impensabile… Noi abbiamo aperto l’anno scorso, sì, questa sarebbe la seconda stagione e abbiamo già, essendo un club privato, quasi novemila soci, cosa che a Roma non si era mai verificata. L’importanza dei musicisti che sono venuti a suonare, che sono i migliori del mondo, Charles Mingus, Elvin Jones, McCoy Tyner, Gato Barbieri, Charles Tolliver, tutti quanti. Naturalmente questo è un discorso molto valido per tutti i musicisti italiani, soprattutto i giovani, che son venuti qui, hanno avuto quella possibilità di stare a contatto, umanamente, con questi colossi… (Il pubblico ha reagito) benissimo tant’è vero che siamo obbligati, il posto è piccolo, a fare due turni, cioè cambiando pubblico con due concerti la sera per dare la possibilità a tutti di ascoltare»: è Pepito Pignatelli a parlare, nella sua unica apparizione televisiva nella sesta puntata della rubrica Jazz in Italia di Carlo Borazzi (regia di Vittorio Lusvardi, collaborazione di Franco Cerri e Franco Fayenz).
Il locale di cui parla il cosiddetto «Principe jazzofilo» è il Music Inn, celebrato soltanto nel 2019, ormai ridotto a un caffé qualsiasi, con il documentario Cocktail Bar. Storie jazz di Roma, di notte, di amori, per la regia di Stefano Landini e Toni Lama incarna la storia di questo anomalo jazz club che, a sua volta riguarda una grossa fetta del sincopato tricolore romano, oggi di nuovo ridiscusso grazie al testo di Marco Molendini Pepito. Il principe del jazz (Minimum Fax): dalle vicende pubbliche e private dell’anticonformista discendente di nobile casa spagnola (addirittura i D’Aragona e il Cortéz dei «conquistadores» latinoamericani) il libro si allarga a prospettare le vicende dello swing e poi del bebop e del free in una Roma per molti versi refrattaria al jazz e alle novità, nonostante la (breve) euforia dell’arrivo degli americani che «regalano», oltre la libertà e la Coca-Cola, anche i V-disc e il boogie dal vivo: memorabile al proposito la scena del film Un americano a Roma (1954) di Steno, dove il giovane protagonista (Alberto Sordi) per accogliere gli alleati si traveste da novello Al Jolson, tra canti e balli di nascosto dagli occupanti nazisti.

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