Quell’ambiguità di Nasrallah che tiene il Medio Oriente sospeso
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Roma. In una piazza di Beirut piena di bandiere giallo acceso e verde islam che sventolano, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha parlato per la prima volta dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre. E per prima cosa ha messo le mani avanti: “Quel sabato siamo stati sorpresi dagli eventi come chiunque altro” nel mondo. Gli influencer del cosiddetto Asse della resistenza avevano pronosticato un discorso infuocato che avrebbe fatto tremare le vene ai polsi di Israele. Gli analisti meno ingenui avevano previsto che Hezbollah non avesse voglia di morire per Hamas, che Teheran non avesse intenzione di sacrificare la sua milizia più preziosa per quella a cui è meno affezionata, e avevano notato che nessun leader che abbia intenzione di dichiarare guerra annuncia il suo discorso con quasi una settimana di anticipo. Ieri le parole di Nasrallah sono state una cattiva notizia per Hamas, non per Israele.
Il discorso del capo del partito-milizia conteneva molte minacce, tutte vaghe e nessuna che si possa considerare una novità. E conteneva alcune bugie, di cui la più infame è quella secondo cui i soldati israeliani sarebbero responsabili dei morti civili nei kibbutz, nella città di Sderot o al rave di Reim, perché si sarebbero mossi presi dal panico e in modo scoordinato nel rispondere all’attacco. E’ una notizia falsa che circola moltissimo anche sulle piattaforme social in occidente, smentita dai reperti, dai video e dalle testimonianze dei sopravvissuti: nel kibbutz di Kfar Aza i soldati israeliani sono arrivati con un’ora e mezzo di ritardo e i terroristi hanno usato quell’ora e mezza per legare, fucilare e bruciare quasi settecento israeliani, bambini e neonati compresi. Perché uccidere i civili era il loro scopo, non un effetto collaterale di un’operazione che puntava a obiettivi militari. Ma perfino Nasrallah, non precisamente un pacifista, non precisamente un amico del popolo israeliano, si vergogna di difendere la brutalità usata da Hamas il 7 ottobre agli occhi del mondo e dei cittadini libanesi.
Nasrallah ha letto dati imprecisi o falsi sulla disorganizzazione israeliana che avrebbe portato a sguarnire quasi completamente il confine nord con il Libano e la Cisgiordania di soldati esperti per spedirli tutti a Gaza. E questa parte del discorso serviva a sminuire le capacità militari israeliane ma soprattutto a ingigantire il proprio ruolo, a dire: aprendo il fuoco al confine, abbiamo già distratto “la metà dell’esercito israeliano” che altrimenti, nei piani di Israele, si sarebbe dovuto riversare tutto quanto nella Striscia, quindi ora, amici di Hamas a Gaza, ringraziateci e non chiedeteci di fare di più. Poi Nasrallah ha indugiato molto sul concetto a lui caro di “ambiguità costruttiva”, che significa dire che ogni opzione è sempre sul tavolo, che un vero e proprio ingresso di Hezbollah nella guerra non è comunque escluso e dipenderà da due fattori. Il primo: da quali saranno le prossime mosse dell’esercito israeliano a Gaza, e quando Nasrallah ha pronunciato queste parole c’è stato un applauso più flebile. Il secondo: da eventuali attacchi israeliani più massicci che colpiscano anche i civili nel sud del Libano, e qui invece c’è stato un applauso fragoroso della piazza. La diversa intensità di euforia mostrata dai presenti combacia con l’analisi di molti osservatori libanesi: il Libano è già un paese fallito, i suoi cittadini non vogliono anche tirarsi in casa un’altra guerra distruttiva, a prescindere da chi dovesse vincerla.
Tra antiche minacce e nuove bugie, Nasrallah ha ricordato anche un fatto triste e vero: le potenti portaerei americane spostate vicino alle coste israeliane non bastano a convincere gli abitanti del medio oriente che gli Stati Uniti siano imbattibili, perché tutti in medio oriente si ricordano la fuga disperata degli occidentali mentre Kabul tornava sotto il controllo dei talebani, che sulla carta sono militarmente molto deboli.
Come ha notato Michael Singh del think tank Washington Institute, oltre alle solite frasi di circostanza sulla “resistenza” che – passando per l’Iran, la Siria di Assad, le milizie in Iraq e in Yemen – domani, o forse dopodomani, sconfiggerà le forze del male liberando il mondo, il discorso di Nasrallah (che parlava per sé e per Teheran) serviva a dire agli Stati Uniti e a Israele che loro con l’attacco di Hamas del 7 ottobre non hanno nulla a che fare. E che, almeno per il momento, l’autoproclamato Asse della resistenza e quello presunto “del male” sono d’accordo su un punto: non c’è bisogno di allargare la guerra oltre i confini di Gaza e di Israele dove è già arrivata. I miliziani di Hamas dentro i tunnel, se hanno avuto modo di ascoltare in diretta sui social il discorso di Nasrallah, hanno probabilmente lanciato lo smartphone contro un muro imprecando.