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Com’è possibile immaginare percorsi di riconciliazione dopo aver visto il male assoluto? Come dire una parola di pace, avendo nel cuore e negli occhi le immagini di terrore che arrivano dal Medio Oriente? Anche la società civile italiana è rimasta sgomenta, quasi impietrita dopo l’annuncio dell’offensiva di Hamas in Israele e, in contemporanea, l’avvio delle operazioni militari a Gaza. Eppure, nel nostro Paese non mancano organizzazioni e persone, espressioni del mondo laico e cattolico, che non hanno mai smesso di adoperarsi per avvicinare le parti in conflitto tra loro, anche quando la distanza, così com’è oggi, appare incolmabile. Sono realtà attive sui nostri territori, che hanno una visione e un respiro internazionale. Ecco perché abbiamo deciso di interpellarle, nella nuova stagione, piena di incognite, che si è drammaticamente (ri)aperta sabato. (D.M.)
«È molto pericoloso per i nostri ragazzi esporsi. Perché potrebbero subire anche ritorsioni». Ha la voce decisa Franco Vaccari mentre racconta la sua angoscia e quella della Cittadella della pace di Rondine, borgo medievale a pochi chilometri da Arezzo. I giovani di cui parla il fondatore del laboratorio di fraternità nato da più di trent’anni sono tre israeliani e tre palestinesi che vivono gli uni accanto agli altri nel paesino affacciato sull’Arno. Con loro trenta coetanei arrivati da terre segnate da conflitti e tensioni. Tutti hanno accettato la sfida di ribaltare la logica dello scontro e diventare “ambasciatori” di riconciliazione cominciando a studiare e ad abitare accanto al “nemico”. Compresi i sei ragazzi che gli attacchi di Hamas e la risposta di Gerusalemme vorrebbero fossero in guerra anche a Rondine. « Mettiamoci nei panni di un israeliano o di palestinese di vent’anni che è giunto in Italia perché sogna un domani “altro”. L’escalation militare lo sta lacerando. Si domanda: “Che cosa ci faccio qui? Perché non tornare a casa? Perché non arruolarsi o imbracciare le armi?”. Noi li lasciamo liberi. Consapevoli, però, che restare nella Cittadella della pace significa assumersi con coraggio alcune responsabilità: anzitutto, non alimentare l’odio; e, poi, non essere parte del problema ma contribuire a risolverlo». Utopia mentre cadono i razzi nelle città di Israele e lungo la striscia di Gaza, mentre si rapiscono adolescenti o anziani, mentre si fa strage di bambini? «Crediamo nella forza dei disarmati – sorride Vaccari –. La guerra giustifica tutto, anche atteggiamenti e reazioni inimmaginabili. Bisogna essere vicini a chi ne è vittima ma al tempo stesso occorre spezzare la catena della violenza e del rancore». Quando si è scatenata la pioggia di fuoco in Terra Santa, i ragazzi dello studentato internazionale di Rondine si sono riuniti nella chiesetta dell’agglomerato.
« Nella parete di fondo c’è una riproduzione della “Crocifissione bianca” di Marc Chagall che rimanda alle tragedie del Novecento. Ecco, quel dipinto di un ateo che si interrogava sul mistero del dolore si era come trasferito nella carne, nei tormenti interiori, nelle speranze tradite dei nostri giovani».
Professor Vaccari, ma israeliani e palestinesi possono vivere insieme?
Lo testimoniano le nostre Rondini d’oro che lì sono tornate. Sono i giovani che hanno concluso il loro percorso di formazione e si sono messi a servizio di progetti di dialogo e condivisione. Siamo in costante contatto con loro: anche noi attiviamo un’unità di crisi quando accadono avvenimenti come questo. Nessuno è stato ferito, anche se nella cerchia allargata di famiglie e amici si cominciano a contare i morti. Il sangue è lì. Ci raccontano la frustrazione, i dubbi su che cosa succederà, i timori per il dilagare delle offensive. La guerra è come un virus e può contagiare tutte le coscienze. Però i nostri ex studenti restano in contatto, condividono le sofferenze, contengono contraccolpi emotivi anche legittimi ma che andrebbero contro la missione di Rondine.
E nella Cittadella della pace come si vive la crisi in Terra Santa?
Due sono i sentimenti che dominano: il dolore oppressivo che è come se racchiudesse il dolore del mondo; e la commozione per il coraggio dei giovani dello studentato a non lasciarsi sopraffare dall’orrore della violenza.
Rondine sa che cos’è la guerra. An-
che perché prova a scalfirne le fondamenta.
Nella storia della Cittadella non era mai capitato che tre conflitti militari rimbalzassero contemporaneamente nel borgo. Qui ci sono giovani dell’Ucraina e della Russia, giovani dell’Azerbaigian e dell’Armenia, giovani del Libano, della Palestina e di Israele. Va fatto ogni sforzo per custodire il loro futuro. Futuro che siamo chiamati a preparare proprio mentre fuori si ascolta solo il rumore delle armi.
“Dobbiamo schierarci”, è la fraseritornello in ogni guerra.
Rondine si schiera con il dolore delle persone che non hanno alcuna colpa e con quanti intendono fermare la spirale d’odio diventando parte della soluzione del problema. È evidente che va stigmatizzato chi scatena la guerra, la violenza, il terrorismo. Ma Rondine dice anche che c’è bisogno di un coinvolgimento forte e lungimirante per formare leader che gestiscano il mondo in modo del tutto diverso.
Di chi è la responsabilità?
Siamo al fallimento delle leadership mondiali che portano ciclicamente e sistematicamente ad alimentare la terza guerra mondiale a pezzi, come l’ha definita papa Francesco. Noi non diamo giudizi su un governo o su un altro. Tuttavia è lampante che serva cambiare passo, mentalità, paradigma. Abbiamo urgenza di donne e uomini che non ragionino in base alla “legge” del nemico: si tratta di un inganno che infetta l’intero pianeta. Occorre sapersi confrontare in maniera decisa e anche dolorosa su punti di vista differenti.
È il tempo delle radicalizzazioni?
Sì, perché non si dà più voce all’opzione di un agire pensato per uscire dall’abisso della guerra che ti porta a stare da una parte o dall’altra. Del resto la polarizzazione è all’origine del concetto di nemico. Si prendono sempre più le distanze, si lascia prevalere l’aggressività, si cessa di ascoltare le ragioni dell’altro.
Il Papa che cerca la pace è accusato di essere equidistante.
Non sopporto il vocabolo “equidistante”. Significa rinunciare alla capacità di giudizio. Ma ci mancherebbe altro che non sappiamo vedere chi è l’aggressore e chi è l’aggredito… Rondine è alla scuola del Papa. E Francesco ha incontrato più volte i nostri ragazzi incoraggiandoli a spendersi per la pace e il bene dei popoli.